Italia Nostra

Data: 2 Agosto 2017

Terremoto 2016: Quale ricostruzione per i nostri territori?

È passato quasi un anno dalla prima tremenda scossa di quel terremoto che ha messo in ginocchio i nostri territori. Un terremoto, è doveroso dirlo, tra i più intensi degli ultimi cento anni in Italia. Una tragedia per intere comunità del nostro entroterra, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni per trasferirsi in residenze a termine a decine di chilometri di distanza. Una tragedia, e non un’opportunità, come invece in molti si affannano a sottolineare, legittimando sostanzialmente le risate telefoniche notturne in vista di possibili aumenti di profitti…

Una tragedia, dicevamo, in attesa di essere affrontata. È con questo spirito che ci siamo messi all’ascolto di chi deve governare questa emergenza, in attesa di direttive ed indicazioni, per iniziare a lavorare insieme, ognuno con le proprie responsabilità e le proprie competenze, alla ricostruzione del nostro entroterra martoriato. La politica, le amministrazioni, l’accademia sono gli ambiti da cui aspettiamo tali direttive.

In questa fase di ascolto, come sezione maceratese di Italia Nostra, abbiamo provato a lanciare degli spunti di riflessione. Non delle ricette belle e pronte da mettere in atto, ma, al contrario, delle domande legate alla situazione del nostro contesto, riunite sostanzialmente in “Dopo il terremoto… cosa fare?”, così come recitava il titolo della giornata di studi organizzata a Macerata lo scorso 3 marzo insieme ad ARCo, ad ASSORESTAURO e all’Ordine degli architetti di Macerata, con il fondamentale supporto scientifico dell’Università di Roma 3 e dell’Università di Macerata. In quella sede, diversi saperi si sono confrontati, ognuno con le proprie competenze, per provare a descrivere una situazione molto variegata, con insediamenti completamente rasi al suolo e altri centri, anch’essi gravemente danneggiati, ma con un’estensione di crolli decisamente inferiore. Un aspetto che venne rilevato, proprio in relazione al nostro territorio, fu che gli interventi di consolidamento del patrimonio storico realizzati dopo il sisma del 1997 avevano praticamente funzionato, salvando le vite degli abitanti, ma lasciando i vari edifici storici rimasti in una sorta di equilibrio precario, bisognosi, nonostante tutto, di forti interventi di restauro.

Questa prima istantanea ha trovato sostanziale conferma nei rilievi fatti nel nostro entroterra nei mesi successivi: centri storici fortemente danneggiati ma in buona parte ancora in piedi, con l’edilizia più recente (quella realizzata dagli anni 40 del secolo scorso) si inagibile ma, in grande misura, ancora in piedi.

A fronte di tale descrizione dello stato di fatto, il dibattito che stiamo ascoltando da allora in avanti sembra proporre un’unica risposta: demolizione e ricostruzione di nuovi edifici. Ma cosa si demolisce? Tutto il patrimonio danneggiato? Solo quello senza valore storico? Non si sa. Dal “dov’era, com’era” della prima ora si è passati all’inquietante “dov’era, come sarà”: dall’immagine ben definita (probabilmente anche troppo) ed univoca del borgo antico si è passati a quella evocativa e in progress della città del futuro (ma quale città del futuro?).

Abbiamo ascoltato tutto ed il contrario di tutto. Di borghi e paesaggi dall’alto valore identitario come patrimoni da valorizzare e, contemporaneamente, come presepi impolverati per cui non vale la pena sbattersi più di tanto. Secoli di storia e di progressi, anche nelle tecniche costruttive, per rispondere meglio alle sollecitazioni dei terremoti che da sempre si susseguono in queste terre, ma su cui si dovrebbe avere il coraggio di passarci sopra senza tanti complimenti per non rimanere invischiati nei vincoli che potrebbe porre il loro rispetto e la loro tutela…

Tutto questo per cosa? Per arrivare a proporre progetti in cui il patrimonio esistente, quando non demolito, è praticamente abbandonato a sé stesso, con la previsione di mirabolanti nuove parti di città da realizzarsi con fantomatiche nuove tecniche costruttive in legno ed acciaio. In sostanza, una riproposizione della tanto vituperata strategia delle new town, attualizzata con il linguaggio odierno: sostenibilità, sicurezza sismica, rigenerazione…

Noi invece vorremmo rilanciare il nostro approccio iniziale, convinti come siamo che qualsiasi proposta sia da fondare su di un’analisi credibile dello stato attuale: per affrontare il recupero dei nostri centri non abbiamo la oramai mitica ruspa come unico strumento attuatore. Ragionare sul reale recupero del patrimonio esistente significherebbe rinsaldare la nostra quotidianità alle radici delle nostre tradizioni, e creare le condizioni migliori per far tornare floride e vitali le comunità che torneranno ad abitarlo. E a trasformarlo, per affrontare le varie sfide che il futuro porterà.

In quest’ottica si riesce ad intuire l’importanza della gestione, ad oggi purtroppo deficitaria, delle macerie da rimuovere. Queste vengono trattate troppo spesso in termini quantitativi, raramente in quelli qualitativi. Tra di esse, infatti, ci sono parti importanti delle memorie dei nostri territori racchiuse nei resti delle cornici e dei materiali degli edifici storici, memorie che rischiano di essere cancellate per sempre. Ci risulta che i tecnici delle soprintendenze stiano operando al meglio delle possibilità, ma le disponibilità sono di molto inferiori alle necessità, soprattutto nell’entroterra della provincia di Macerata, tra i più colpiti dagli eventi sismici. In questa direzione andrebbero ricercate nuove risposte, capaci di mettere in campo ulteriori risorse e di utilizzare al meglio quelle già presenti ma in gran parte sottoutilizzate.

Recuperare non è nostalgia per il passato, come si vorrebbe o potrebbe far pensare, bensì è l’atto necessario di conoscenza per la costruzione di un futuro migliore. L’affermazione è quasi banale nella sua semplicità. Tanto semplice da non poter essere dimenticata.

Italia Nostra
Sezione di Macerata

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