Proprio così, un po’ distratti dall’abitudine un po’ perché gli alberi per mentalità diffusa sono ormai totem intoccabili (il famoso “verde”), noi tutti accettiamo passivamente la perdita dell’80% delle viste panoramiche lungo le strade extraurbane e pure dentro gli stessi scenari urbani dei centri storici. Riporto a corredo di questa denuncia una sola coppia di fotografie inerente il centro storico di Perugia, due foto riprese dallo stesso punto però a distanza di cento anni, “il morto è nella bara” come si dice, inconfutabilmente stiamo perdendo valori estetici inimmaginabili. Gli abitanti non si accorgono della perdita perché sanno che dietro la selva incolta c’è la città vera, ma il visitatore subisce una forte deprivazione anche se non lo saprà mai.
Le strade panoramiche di fatto non esistono più poiché contornate ai due lati da una fitta cortina di vegetazione spontanea e incolta fatta di cespugli e alberi di nessun valore botanico. Il fenomeno vale sia per strade di pianura, di mezza costa, di crinale; vale non di meno per auto e superstrade che poggiando su rilevati e viadotti di per sé sarebbero ottimi palcoscenici per meglio godere del paesaggio, ma anche in queste la vegetazione spontanea e incolta copre quasi tutto. Vale perfino nei sentieri ripristinati e realizzati lungo i fiumi: paradossalmente la passeggiata c’è ma l’acqua non si vede più. Il paesaggio agrario è fortemente alterato, le presenze arboree di un tempo (precisi alberi da frutto attorno ai casali, cipressi confinari, filari ben definiti, chiome sempreverdi attorno a ville ed edifici sacri), sovente sono ora confuse in grovigli indistinti. Il danno per l’economia turistica è difficilmente quantificabile ma sicuramente molto alto.
La sezione perugina di “Italia Nostra” nel 2016 ha diramato un documento (“Panorami Perduti”) con 30 confronti fotografici ieri/oggi che ha generato un vasto dibattito, curiosamente è piuttosto forte l’atteggiamento di chi nega questa evidenza preferendo una difesa incondizionata (e irrazionale, mi sento di aggiungere), di ogni tipo di vegetazione.
Il problema è di vastissime proporzione (tutte le regioni) e di difficile soluzione poiché attiene più che all’abbandono delle campagne (in verità ancora largamente lavorate) al non più bisogno di erbaggi per gli animali da cortile e di legna per scaldarsi/cucinare, soppiantati anche in campagna dal gas; erbe, ramaglie e tronchi sembrano non interessare nessuno, eppure nelle ripe stradali e fluviali, nei rimboschimenti spontanei dei terreni incolti, negli angoli urbani ve ne sarebbe grande disponibilità. Si tratta dunque di saper individuare rinnovati circuiti economici naturali ove al cittadino conferitore venga riconosciuto un valore, sia pure piccolo, da parte di soggetti vari come produttori di cippato, pellet e simili nonché digestori anaerobici e simili. Università, società di smaltimento rifiuti e comunità montane (o comunque aziende preposte alla manutenzione del verde) possono essere chiamate attorno a un tavolo; è ciò che la sezione perugina sta tentando in questi mesi.
Luigi arch. Fressoia – “Italia Nostra” Perugia