L’Italia ripudia la guerra ed esalta il valore della cultura e del patrimonio storico artistico. Perciò indigna e preoccupa qualsiasi dichiarazione politica che contempli, addirittura espressamente, la distruzione di siti culturali. Nessun paese che si dichiari “civile” può permettersi di sovvertire la storia, le tradizioni e i valori di qualunque altro paese.
Gli Stati Uniti hanno anche sostenuto la Convenzione Unesco che sancisce il valore della cultura e delle sue vestigia millenarie e non possono concedersi il diritto di rinnovare le sofferenze di quanti hanno assistito impotenti alle barbarie compiute in alcuni paesi Orientali: le distruzioni con tonnellate di esplosivo a Palmira in Siria, del Tempio di Baal e l’Arco di trionfo, le devastazioni della Città Vecchia di Aleppo, con il suk e le sue antiche rovine, del minareto della Grande Moschea degli Omayyadi, delle città di Dura Europos, Apamea, Mari, Raqqa e Ebla. Proprio per protestare contro simili barbarie, nel maggio del 2015 alcuni siti italiani dichiarati Patrimonio Mondiale UNESCO sono stati listati a lutto. E già in Kosovo, in Azerbajan, in Iraq, le guerre hanno distrutto indifferentemente monumenti cristiani e musulmani, e costretto importanti organismi culturali internazionali a una faticosa e paziente ricostruzione.
È quindi assolutamente inaccettabile che dalla voce più autorevole di uno Stato occidentale, che pure aderisce all’Onu e all’Unesco e che sostiene gli organismi internazionali di cultura impegnati nelle difficili compagne di restauro e di ricostruzione di opere massacrate dalla mano devastatrice dell’uomo, si pronuncino così gravi minacce al patrimonio mondiale della cultura.
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