Italia Nostra

Data: 22 Marzo 2022

L’Europa s’è svegliata. Giovanna Mozzillo

L’Europa s’è svegliata. Un grande contributo sulla guerra in Ucraina della scrittrice Giovanna Mozzillo, consigliera del direttivo della sezione di Italia Nostra di Napoli.

E’ vero! E’ vero e non si tratta di un’illusione a cui ci aggrappiamo per non venir travolti dallo sconforto nella scioccante situazione in cui ci troviamo. No, è vero, è proprio vero: di fronte alla guerra l’Europa si sta finalmente risvegliando. E, se l’Europa si risveglia, se si riscuote dal letargo intellettuale e etico da cui s’era lasciata risucchiare, se recupera consapevolezza di se stessa, ebbene, allora la speranza è lecita, pur nel raccapriccio per ciò che sta accadendo. Ma, sia chiaro, si tratta di una speranza che non elimina il rimorso. Perché questo risveglio avrebbe dovuto avvenire molto prima. Infatti, a mostrarci, al di là di ogni ammissibile dubbio, quali fossero la mentalità e i metodi di Putin, avrebbero dovuto bastare l’efferatezza con cui gestì la guerra in Cecenia, e poi l’annessione della Crimea, l’attacco alla Georgia, l’intervento nel Donbass, il volenteroso contributo dato al martirio della Siria, il cinismo  con cui si è mosso in Libia, e poi la soppressione di ogni voce dissenziente e il trattamento riservato agli oppositori (basti ricordare Anna Politkovskaja, assassinata per aver denunciato le atrocità del conflitto ceceno, e Navalny, sbattuto in carcere dopo esser sopravvissuto al tentato avvelenamento).  Ma l’Europa ha fatto finta di non accorgersene, ha chiuso gli occhi e si è messa le mani sulle orecchie, limitandosi a vacue reprimende e blande sanzioni. E, se si è comportata così, non è stato solo per non compromettere le forniture di gas, i preziosi accordi commerciali e finanziari, gli applauditi incontri sportivi e l’ancoraggio nei nostri porti degli yacht miliardari dei russi. E’ stato anche perché gran parte della cultura europea (forse la maggior parte) persevera, ostinatamente, irriducibilmente (direi, imperdonabilmente) a mostrarsi devota al culto  della “sovieticità”: culto sopravvissuto alla morte ufficiale dell’ideologia  marxista. Ideologia nella quale appassionatamente abbiamo creduto tutti noi che, per riesumar la definizione di Ernesto Ferrero, forse siamo stati i “migliori”, cioè i più sensibili all’ingiustizia (o soltanto i più ingenui?),  ma da cui,  e non senza sofferenza,  abbiamo preso le distanze quando il suo  fallimento è apparso evidente: tanto evidente da risultar innegabile. Un’innegabilità tuttavia che – lo ripeto, perché è questo il punto – tanta parte della cultura italiana ed europea si è sempre rifiutata di accettare e riconoscere, perdonando al comunismo sovietico sia i milioni e milioni di morti (o almeno queste morti giustificandole, amnistiandole) sia il delitto forse ancor più mostruoso di aver annullato la dignità dell’intero popolo russo, facendone un muto, passivo, e spesso plaudente, testimone dell’iniquità. E non solo: gli esponenti di questa cultura si son resi colpevoli di un’altra colpa, una colpa incommensurabile e che ci riguarda da vicino: anche da noi hanno frenato, intralciato, depistato lo sviluppo della democrazia autentica. Infatti c’è un diritto-dovere che in una vera democrazia ognuno deve esser libero di esercitare: il diritto-dovere di documentarsi sulle azioni del governo, di sottoporle al tribunale della propria coscienza (perché possiamo esser laici o credenti, ma la nostra coscienza, se non è drogata da messaggi perversi che l’abbagliano, in genere ci dice la verità) e, se le si ritiene ingiuste, di dissociarsene, protestando e, qualora sia necessario, mettendo in gioco anche la vita, pur di impedirne l’attuazione. E’ in questa responsabilizzazione collettiva che sta la chiave da cui è  determinato il funzionamento del dinamismo democratico. Ma come avrebbe potuto stimolarne e diffonderne l’esigenza una compagine intellettuale devotamente succube di un’ideologia che la vieta e condanna? E infatti: in Italia e nell’intero Occidente troppi son stati i “professionisti” della cultura che non si sono adoperati affinché la necessità di analisi critica e responsabilizzazione fosse avvertita  a livello collettivo, e che anzi a tutta forza hanno remato al contrario.  Sicché il bisogno di ragionar con la propria testa la gente “qualunque” non l’ha scoperto e se ne è rimasta indifferente e passiva di fronte a ogni tragedia che non la riguardasse personalmente: abitudine che risparmia dubbi, rischi e rimorsi, ma da cui le democrazie son amputate della loro ragione d’essere.

E allora? E allora, ecco, se Putin ha alzato la posta arrischiando il colpo grosso è perché si è reso conto che l’Europa stava divenendo sempre meno se stessa, che aveva scordato i suoi valori, che la sua identità stava sbiadendo, spegnendosi, svaporando come una bolla di sapone. E che quindi con ogni probabilità non avrebbe reagito, e che perciò era il momento di attaccare. 

Si è sbagliato, l’Europa sembra essersi  svegliata, tuttavia non sappiamo cosa accadrà. Non sappiamo se, allorché, come purtroppo appare quasi certo, avrà occupata l’Ucraina per intero, Putin si fermerà o se andrà avanti per riagguantare tutti i territori che dopo il 1989 recuperarono l’autonomia, sottraendosi al dominio sovietico. Ma, se anche si fermasse, la sua vittoria sarebbe comunque una cocente, frustrante sconfitta della democrazia. Una sconfitta che renderebbe l’occidente democratico ancora più incerto, remissivo, timido nella difesa dei diritti umani, e ancora più sfacciate, rapaci, arroganti le dittature. Le dittature che ormai occupano due terzi del pianeta e che, non frenate dai sacrosanti scrupoli etici e ambientali a cui anche noi democratici tante volte non prestiamo ascolto, ma dai quali tuttavia non possiamo non sentirci condizionati, minacciano di accaparrarsi sempre nuove aree. E allora la democrazia deve impegnarsi per difender non solo l’Ucraina, ma se stessa. E assurda (e indecente) è la posizione di quanti, in nome dell’inaccettabile “nostalgia” di cui ho detto, manifestano chiedendo l’equidistanza. Mio Dio! Ma come si può parlare di “equidistanza” tra aggressore e aggredito? Ma come si può ritenere che il nostro governo commetta un reato mandando armi agli ucraini? Al contrario – ma dovrebbe esser ovvio! – scelta scellerata sarebbe abbandonarli alla vendetta di Putin e voltarsi dall’altra parte, secondo la pavida prassi a cui troppe volte finora ci siamo rassegnatamente attenuti. No. Stavolta l’Occidente si è svegliato e non deve riassopirsi. Sollecitiamolo, incoraggiamolo, applaudiamolo. Affinché, sotto braccio all’Ucraina, da questa prova epocale la democrazia esca vincitrice e, pur senza indulgere ad altisonanti trionfalismi, recuperi quel tanto di autostima che le è indispensabile per cercar di assolvere alla sua funzione.

Perché, malgrado i suoi errori, i suoi tentennamenti, le sue ipocrisie, le sue marce indietro, la democrazia, impossibile non prenderne atto, resta il frutto più valido –- e più prezioso, più idoneo alla dignità umana, più “sacro” – del pensiero occidentale. 

Anzi, azzardiamoci a dirlo, di tutto il pensiero che ovunque sia stato partorito da una mente mortale. 

 

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