L’articolo di Pasquale Belfiore e Carlo De Luca comparso sabato scorso su queste pagine sollecita ovviamente una replica. Così come espresso nelle conclusioni dagli autori, sembra che fare riferimento alle disposizioni del piano regolatore sia letta come una sterile opposizione e non come una proposta. Nella programmazione urbanistica la cosiddetta “istruzione dell’obbligo” alla quale fa riferimento il piano regolatore, destinando Palazzo Penne a tale uso, comprende anche le classi fino ai sedici anni di età. Non a caso, tempo fa, gli organi di stampa denunciarono la forte carenza di spazi del vicino liceo-ginnasio Antonio Genovesi. Se due più due fa ancora quattro, appare facile accorgersi che la destinazione per il ginnasio del Genovesi possa rispondere esattamente ai prevalenti “bisogni del territorio” e non solo a quelli che gli autori evidentemente ritengono siano meri risultati di ragioneria urbanistica. Se a tali riflessioni vogliamo aggiungere, a questo punto, una proposta specifica per la casa dell’architettura, vorrei segnalare agli autori e ai lettori che nella mia passata esperienza amministrativa (2012), per questo esatto obiettivo avevo impulsato l’ufficio comunale (istituito per la gestione e l’attuazione degli interventi previsti dal prg per il centro storico Unesco) di elaborare una proposta, infatti redatta dall’architetto Giancarlo Ferulano che lo dirigeva, rimasta poi nel cassetto di chi mi ha succeduto. Il progetto prevedeva di insediare l’Urban Center nell’ex Circolo della Stampa in Villa comunale. L’affidamento a privati della gestione degli spazi preesistenti per la ristorazione, permetteva di ottenere le risorse per finanziare il completamento del recupero (anche coerente con il progetto di Luigi Cosenza e Marcello Canino) rimasto sospeso, e successivamente finanziare i costi di gestione dell’intanto insediato Urban Center. Attraverso la formula del project financing, si sarebbe anche escluso qualsiasi onere a carico del Comune. Nella sua formazione, l’idea aveva raccolto l’entusiastico interesse dell’Accademia di Belle Arti che si sarebbe occupata dell’allestimento degli spazi. È passato tempo da allora e il Comune ha preferito concordare con la vicina stazione zoologica Anton Dohrn un’utilizzazione funzionale alle esigenze di questa. E sia. È pur vero che un’altra alternativa possa porsi senz’altro più adeguatamente attraverso l’uso degli enormi spazi che la Federico II sta svuotando nei vicini edifici di via Mezzocannone: aule sicuramente adattabili alle esigenze espositive, meglio che compresse dentro Palazzo Penne (se non con insopportabili adeguamenti strutturali) e sterminate superfici sicuramente più adatte all’auspicato disegno per una casa dell’architettura in Campania, destinata anche a un’auspicabile crescita nel tempo. Mi pare utile aggiungere che i modelli didattici della scuola contemporanea, non soltanto post Covid, prevedono l’apertura al territorio per le finalità di servizio ai residenti del quartiere, sicuramente compatibili con la storia di Palazzo Penne e anche questi conformi al piano regolatore, il quale, lo riaffermo, registra un bisogno e non il risultato del calcolo impostato su un elaboratore. Non ho nemmeno alcun dubbio sul fatto che un qualsiasi bravo progettista del restauro possa essere in grado di ben adattare a tali usi un monumento che richiede assoluto rispetto.
Luigi De Falco
vicepresidente nazionale di Italia Nostra
L’articolo è stato pubblicato oggi 11 gennaio sulla cronaca di Napoli del quotidiano “La Repubblica”