Ha avuto luogo martedì 19 gennaio 2021, promossa dalla V Commissione “Cultura” dell’ARS, un’audizione sulla cosiddetta “Carta di Catania”, recepita di recente dall’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana con due decreti assessoriali.
La Commissione, presieduta dal deputato Luca Sammartino, ha visto la partecipazione dell’assessore regionale Alberto Samonà, del deputato Claudio Fava, della prof. Rosalba Panvini e di alcuni rappresentanti di associazioni culturali, tra cui l’esponente di Italia Nostra arch. Michele Campisi. In conclusione, preso atto delle forti perplessità, delle critiche manifestate dagli intervenuti nel corso dell’audizione, il presidente Sammartino ha proposto di ritirare, di sospendere i decreti.
L’assemblea Regionale Siciliana, negli ultimi mesi, ha prodotto una serie di disegni di legge in materia di beni culturali, urbanistica ed edilizia, tutti apparentemente intenzionati a ‘riforme’ innovative, ma in realtà rivolti allo smantellamento in Sicilia della normativa nazionale e regionale di tutela e di pianificazione paesaggistica. Per noi di Italia Nostra, gli ultimi atti legislativi e amministrativi della Autonomia Speciale Siciliana in materia di beni culturali e paesaggistici hanno reso evidente, in modo drammatico, come lo stato di crisi dell’amministrazione regionale di tutela costituisca oggi un grave pericolo per la salvaguardia dell’importante patrimonio paesaggistico e culturale della Nazione conservato in Sicilia. L’ultimo atto: “La Carta di Catania” e la privatizzazione del Patrimonio culturale. Potremmo affermare che la Giunta regionale, presieduta da Nello Musumeci ha, di fatto, dichiarato il fallimento dell’amministrazione regionale dei beni culturali nell’espletamento dei compiti costituzionali di conservazione, studio e valorizzazione del patrimonio culturale conservato nei Musei siciliani, e ha messo in moto un piano di dismissione dei beni culturali in favore dei privati, considerati come i soggetti più adeguati ad assicurarne la ‘messa a valore’.
L’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà, tramite i decreti n. 74_GAB del 30.11.2020 e n. 78_GAB del 10.12.2020, ha avviato la procedura di concessione in uso dei beni culturali “in giacenza nei depositi degli Istituti periferici”, tramite modalità che appaiono non appropriate alla specificità e singolarità del patrimonio storico artistico, ma sembrano riferirsi piuttosto a qualità merceologiche: dovrebbero redigersi elenchi “predisponendo lotti omogenei per caratteristiche storico culturali o tipologiche” al fine di renderli disponibili in massa a concessioni d’uso di lunga durata, “per una durata tra i due e i sette anni”, con la possibilità di un rinnovo.
Si prevede, quindi, di costituire liste di beni culturali che si possono considerare cedibili in uso ai privati in quanto: “non siano destinati alla pubblica fruizione” o “sono stati acquisiti per confisca, quelli donati o consegnati spontaneamente, quelli di più vecchia acquisizione di cui sia stata smarrita la documentazione e, in generale quelli deprivati di ogni contesto di appartenenza”.
Non è serio imporre agli Istituti “che hanno in consegna i beni” di decidere a priori quali opere siano destinate all’esposizione e quali no. Non si tratta di magazzinieri che tengono la contabilità delle ‘giacenze’, ma di istituzioni scientifiche che hanno il compito di tutelare il patrimonio culturale e di promuoverne la conoscenza. Le istituzioni museali dovrebbero essere ormai comunemente intese come laboratori di ricerca e promozione culturale, capaci di sviluppare attività partecipate di studio sui beni culturali conservati, da cui trarre gli stimoli per rinnovare continuamente esposizioni e percorsi divulgativi.
La concezione museale antiquata che traspare dai decreti, invece, ci riporta ad un’idea di Museo chiuso ai contributi esterni, mummificato in sé stesso, ormai polveroso e respingente, cui contrapporre le brillanti vetrine di centri commerciali o lussuosi alberghi e residenze private.
Ricordiamo che gli elenchi delle opere d’arte, ai sensi del R.D. 26 agosto 1927 n. 1917, dovrebbero essere realizzati a fini di tutela, per conoscere la consistenza dell’intero patrimonio storico artistico, secondo un piano sistematico di catalogazione scientifica delle singole opere e non possono certo essere redatti per ‘lotti’. È necessario, invece, procedere prioritariamente all’inventariazione dei singoli beni e alla rilevazione dell’attuale stato di conservazione e delle misure di restauro da adottare per ciascun bene.
La necessaria catalogazione dei beni culturali in consegna alle Istituzioni regionali di tutela è una questione molto seria che attende da decenni una soluzione. Nel frattempo, il personale assunto per questo compito da una società della Regione da molti anni viene impiegato solo per svolgere compiti burocratici d’ufficio e le schede informatizzate di catalogazione, realizzate a partire dal secolo scorso in modo difforme dagli standard nazionali, sono rese inutilizzabili da sistemi di accesso digitale ormai desueti.
Il decreto affida la realizzazione degli elenchi propedeutici alla concessione dei ‘lotti’ di beni culturali proprio agli “esperti catalogatori che prestano servizio nella Società in house Servizi Ausiliari Sicilia”, ignorando, forse, il fatto che tra questo personale sono oggi in servizio solo pochissimi archeologi e storici dell’arte. Quindi il lavoro di inventariazione sarebbe affidato esclusivamente ai giovani “studenti universitari in discipline connesse alla conservazione dei beni culturali che operano in regime di tirocinio formativo”, citati sempre nel decreto 74_GAB.
La ‘valorizzazione’ di tale immenso e sconosciuto patrimonio sarà condotta semplicemente stabilendone un valore monetario d’uso, consistente nel “pagamento di un corrispettivo che non potrà essere inferiore ad un decimo del valore dei beni concessi, così come desunto dalle stime inventariali operate dal deposito regionale di origine”.
Per tale vasta operazione di trasferimento dei beni culturali si prevede una procedura amministrativa semplificata di concessione: il Dipartimento definirà un unico bando pubblico e un unico responsabile del procedimento, “con il compito di uniformare le procedure attraverso le quali la Regione Siciliana, tramite i propri Istituti periferici concede il prestito dei beni”. In tal modo ‘gli Istituti periferici’, che dovrebbero essere gli organi tecnico scientifici dell’Assessorato, cui compete un parere autonomo, perdono il proprio ruolo e a decidere sarà l’esecutivo politico.
Una volta di più le competenze scientifiche, quelle che sole possono riconoscere il ‘valore’ storico e civile del patrimonio culturale conservato in Sicilia e assicurarne un’adeguata tutela e valorizzazione, vengono ritenute solo fastidiosi ostacoli alla rapida realizzazione della volontà politica del momento.
La nomina politica, senza alcun rispetto per le competenze specialistiche dei diversi settori, di tutte le figure apicali del sistema regionale di tutela, calcolabili in circa trecento posizioni dirigenziali e direttive, ha determinato un forte condizionamento politico all’azione amministrativa degli organi tecnico scientifici che hanno perso autonomia e autorevolezza.
Ma questo, evidentemente, non basta alla politica regionale e ora la gestione del patrimonio culturale deve essere affidata direttamente ai privati, separando il bene culturale dalla sua dimensione pubblica e dal suo valore storico e civico. Per assicurarsi il controllo di tutta l’operazione ‘privatizzazione’ del Patrimonio l’esecutivo regionale commissaria le Soprintendenze e i luoghi della cultura, nominando un ‘Responsabile Unico del Procedimento’.
Un analogo commissariamento delle funzioni degli organi tecnico scientifici è in atto nel campo della progettazione di tutti gli interventi sui beni culturali dell’Isola a valere sui prossimi fondi europei. Infatti, l’assessore ha nominato un Responsabile Unico di tutti i progetti regionali sul Patrimonio culturale. Inoltre, è di questi giorni la notizia di un accordo quadro tra l’Assessorato e tutti i GAL (Gruppi di Azione Locale) delle nove province siciliane, che sono Consorzi pubblico- privati, “per accelerare i processi di valorizzazione del patrimonio culturale siciliano e ottimizzare l’utilizzazione dei canali di finanziamenti comunitari”.
Quindi, oltre che ai privati che deterranno i beni culturali concessi in uso, come previsto nel decreto, l’assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana intende devolvere l’impiego delle risorse europee anche ad altri enti privati, riservandosi l’attività di indirizzo politico. In tal modo, di fatto, si esternalizza quasi totalmente l’attività istituzionale di progettazione degli interventi sui beni culturali conservati in Sicilia, come se non esistesse più un’amministrazione regionale di tutela dei beni culturali e come se non fosse più necessario un ‘patrimonio’ di conoscenze scientifiche per dare valore al patrimonio storico artistico della Nazione.
Invece di affrontare i gravi problemi dell’amministrazione regionale dei beni culturali che impediscono l’assolvimento dei compiti costituzionali di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale conservato in Sicilia, delegati dallo Stato nel 1975, la giunta regionale pensa di assolversi dall’obbligo costituzionale trasferendo la gestione del patrimonio culturale ad altri enti, società o associazioni di cui non vengono precisati neanche i fini, se di lucro o meno.
La “Carta di Catania” posta in premessa al decreto, infatti, così recita: “In un contesto in cui, quasi dopo mezzo secolo dalla piena attuazione dell’Autonomia Regionale in materia di beni culturali non si accenna ad una soluzione di sistema per diretto intervento pubblico, appare necessario restituire la massa indistinta dei depositi pubblici ai destinatari costituzionali di tali beni, attraverso un regolamento dei rapporti di gestione”.
Quindi la stessa Regione Siciliana, paradossalmente, ammette di essersi resa colpevole di non aver ottemperato agli obblighi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale prescritti dai decreti presidenziali del 1975 (“per diretto intervento pubblico”) e, incredibilmente, ne delega l’assolvimento a non ben precisati ‘destinatari costituzionali’.
I veri beneficiari dell’articolo 9 della Costituzione dovrebbero essere, invece, i potenziali fruitori del pubblico godimento di tale immenso patrimonio oggi abbandonato al degrado dalla Regione Siciliana che ne ha la responsabilità pubblica. Ricordiamo come le giunte regionali che si sono succedute nell’ultimo decennio hanno sistematicamente sottratto risorse ordinarie alla conservazione, valorizzazione e fruizione dei ‘luoghi della cultura’ dell’Isola, fino agli attuali miseri capitoli di bilancio dell’Assessorato che dell’identità siciliana ha solo il nome.
Al termine dell’audizione, l’esponente di Italia Nostra ha depositato un documento, un “Dossier sulla crisi del sistema di tutela del patrimonio culturale in Sicilia”, firmato dalla presidente nazionale di Italia Nostra Ebe Giacometti, dalla presidente dell’”Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli” Rita Paris e dalla presidente dell’associazione “Memoria e Futuro” Adriana Laudani.
Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia