Italia Nostra

Data: 8 Marzo 2021

L’Italia che va in rovina: le Marche nell’oblio. Monte Varmine e la fiducia di Italia Nostra

Il Recovery Plan individua le azioni da porre in essere per il rilancio dell’Italia e poggia su un totale di parecchi miliardi di euro.

Di questa ingente somma diversi miliardi di euro dovrebbero essere utilizzati per interventi sul patrimonio storico e artistico. 

Viste queste opportunità, la gente comune si aspetterebbe azioni volte al recupero di quei beni artistici e architettonici da tempo dimenticati o non considerati solo perché costituiscono un aggravamento dei bilanci comunali già di per sé asfittici.

Italia Nostra sezione di Fermo vede, con molto interesse e possibilità di attuazione con i soldi del Recovery Plan, il recupero del castello di ROCCA MONTE VARMINE. 

La Rocca di Monte Varmine sorge tra i fiumi Aso e Menocchia, nel territorio comunale di Carassai, provincia di Ascoli Piceno. Secondo alcuni il castello, dall’aspetto eterogeneo, trae l’origine del nome dal termine longobardo ward, guardia. Il toponimo stesso indica il ruolo di efficiente strumento di difesa esercitato contro incursioni o feroci saccheggi e convalida l’idea secondo la quale fosse originariamente una proprietà del signore longobardo Longino D’Attone. 

Molto probabilmente, in principio si trattava di un “casalivo”, una fattoria dotata di fortificazioni e realizzata secondo i dettami di quella che attualmente è conosciuta come la “Civiltà del legno”; mentre in quella prima fase insediativa, lo scopo del sedimen era di vigilare sul nucleo abitativo e soprattutto sulle colture fondamentali per l’economia domestica, in un secondo momento la cinta muraria assunse un aspetto più marcatamente militare. 

Dal 1060, anno cui risale la più antica documentazione scritta sulla Rocca, i vari vescovi di Fermo si alternarono con piena potestà giudiziale nella manutenzione del castello di origine. Dal 1290 fino al 1397 i signori ghibellini di Massa e Montappone detennero il potere su Monte Varmine, determinandone così la rovina. Acquisita completamente e ristrutturata da un tale Matteo Mattei (Matteo di Buonconte), nel 1397, fu ceduta attraverso un atto testamentario soltanto venti anni dopo. Il proprietario, difatti, la donò alla Confraternita di Santa Maria della Carità, con la viva speranza che l’intera struttura potesse divenire un accogliente centro di assistenza per anziani e invalidi. La sua presenza è tuttora attestata mediante un bassorilievo raffigurante la Madonna con Bambino e uno stemma dell’ospedale databile intorno al 1421, entrambi incastonati sopra un portale del lato est. 

La Rocca, a pianta rettangolare, mostra ancora oggi i segni dell’intervento di ristrutturazione disposto intorno alla fine del XIV secolo per il consolidamento del preesistente apparato difensivo. A rafforzare l’idea che avesse un particolare bisogno di difesa contro scorribande di predoni, il rinvenimento di una “Bombardella manesca” del XIV secolo, una delle prime armi da fuoco maneggevoli. 

Costituita da un circuito murario piuttosto robusto, la Rocca era guarnita da un massiccio mastio in laterizio con merlature ghibelline. Alto circa 35 metri, ancora oggi mostra i segni di un efficace apparato “a sporgere”, realizzato per favorire la difesa piombante. Il camminamento militare che incorniciava la cinta muraria è andato perduto, ma verosimilmente era collegato alla torre maestra mediante un ponte su archi. L’intero impianto ha subito innumerevoli modifiche funzionali dopo l’insediamento dell’ospedale ed è stato corredato di nuove piccole strutture, come l’abitazione del cappellano andata irrimediabilmente perduta o la chiesa di San Pietro addossata alla cortina nord, oggi soggetta a crolli e che un tempo ospitava la pregevole Crocifissione di Vittore Crivelli, attualmente conservata nella Pinacoteca Civica di Fermo.

La “torsione” politico-culturale, che dà l’avvio ad un periodo di degrado dell’intero bene, avviene quando l’Opera Pia Brefotrofio, proprietaria del castello, viene estinta e i suoi beni trasferiti al Comune di Fermo. (I beni dell’Opera Pia Brefotrofio sono trasferiti al Comune di Fermo con decreto del Presidente della Giunta Regionale delle Marche n. 1413 del 16 marzo 1989).

Ma la tenuta agraria di Rocca Monte Varmine, costituita da oltre 700 ettari e da 40 cascine, diventa per gli amministratori della città di Fermo un bene patrimoniale identico ad altri, trasferibile, privatizzabile, chiamato semplicemente a portare denaro nel bilancio comunale, tuttalpiù da destinare – unico vincolo – ad attività e servizi sociali.

E’ anche così che, nelle Marche spesso dimenticate, l’Italia “rovina”. In modo impercettibile ma permanente, con l’incuria che stringe la sua morsa attimo dopo attimo. Altri sono gli interessi della politica e si assiste al succedersi di amministratori che non hanno alcuna attenzione alla tutela di un patrimonio che, in altri stati, sarebbe oggetto di attenta valutazione e di cura. A chi rivolgersi allora per il recupero di un patrimonio di incontrovertibile valore? 

La sensazione dell’uomo comune è che siamo eccezionali in quanto a parole, a promesse, a produrre leggi e decreti che raramente trovano seria applicazione, ma non abbiamo una coscienza formata alla difesa del patrimonio artistico e culturale, subordinandolo alle tante inutilità e futilità promosse solo per interesse politico. 

Rocca Monte Varmine versa in condizioni tragiche dopo che anche il terremoto del 2016 ne ha accentuato l’instabilità. Ormai è preda delle sterpaglie, dei crolli, dell’oblio più totale. Inserirlo gli negli interventi sul patrimonio storico e artistico non richiederebbe alcuno sforzo, alcun progetto, basterebbe evidenziarne solo la necessità di recupero. La Rocca è una preziosa realtà da 12 secoli, fa parte del patrimonio storico culturale di Fermo, di Carassai, delle Marche e della nostra Nazione. Non possiamo permetterci di lasciarlo morire nel disinteresse generale, negandone il valore e la necessità di restauro proprio oggi che si può disporre oltre che del Ministero dei Beni e attività culturali e turismo anche del Ministero Green dell’Ambiente, tutela del territorio e del mare.

La Rocca oggi appartiene a Fermo ma forse Fermo non sente di appartenergli; invece una volta recuperata totalmente e messa in sicurezza potrebbe essere gestita per visite guidate, incontri, conferenze, concerti, ecc. sia dai volontari di Italia Nostra delle sezioni di Fermo e di Ascoli Piceno, sia da un comitato di estimatori e volontari costituitosi a Carassai. Negli anni 2019 e 2020 Italia Nostra sezione di Fermo ed il Comitato costituitosi a Carassai hanno promosso visite al luogo e dibattiti tra gli intervenuti sul piazzale antistante l’ingresso della Rocca, ormai quasi del tutto invaso da rovi ed erbacce. 

Italia Nostra sezione di Fermo, oltre ad aver segnalato, denunciato sistematicamente lo stato di criticità del bene, ha trasmesso alla Sede Centrale di Roma i dati relativi all’attuale situazione di Rocca Monte Varmine per il giusto inserimento nella LISTA ROSSA istituita dall’Associazione ovvero lo strumento attraverso il quale Italia Nostra raccoglie denunce e segnalazioni dalle proprie sezioni e da cittadini attenti e responsabili, di beni comuni o paesaggi in abbandono o bisognosi di tutela, siti archeologici meno conosciuti, centri storici, borghi, castelli, singoli monumenti in pericolo

Oggi costituiscono un archivio importante di siti in stato di criticità che l’Associazione vuole continuare ad ampliare e mettere a disposizione della PUBBLICA AMMINISTRAZIONE come strumento di monitoraggio e conoscenza dello stato di conservazione dei beni culturali. Infatti, l’azione di Italia Nostra si pone in un rapporto di sussidiarietà con la Pubblica Amministrazione, come sancito dall’articolo 118 della Costituzione.

Fermo, 07 marzo 2021                                                                                                          

 

  Gioacchino A. Fasino 

  (Presidente sez. ITALIA NOSTRA – Fermo)

 

Per approfondimenti:

ITALIA NOSTRA- Fermo COMUNICATO 2

 

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