Italia Nostra

Data: 15 Marzo 2023

Cosiddetto “Parco Marittimo”: una discarica in riva al mare? Inviato esposto in Procura

Tanti cittadini guardano attoniti l’assalto alla Riserva Naturale dello Stato “Pineta di Ravenna” ed il completo disboscamento del fronte mare per far posto a Punta Marina e Marina di Ravenna alle passerelle del cosiddetto “Parco Marittimo”. Ma le sorprese non sono finite: a seguito di un sopralluogo si evidenzia lo spandimento di materiali da sottofondo che paiono tutt’altro che “ecologici” e compatibili. Come è stato possibile autorizzare? 

Al posto di quanto previsto dal Capitolato d’appalto dove si legge: “Fornitura, stesa, rullatura e compattazione di pietrisco spaccato inerte calcareo 10/30 mm per la formazione di piani di fondazione e sottofondo del percorso ciclo-pedonale”, non risulta essere stato posato alcun pietrisco calcareo, ma rifiuti speciali provenienti da demolizioni edili, triturati in frantoio e poi riciclati a mo’ di stabilizzato. Nella miscela utilizzata, di tutto: oltre a ghiaia e conglomerato cementizio provenienti dalle demolizioni di strutture in cemento armato, si trovano piastrelle, laterizi, vetro, plastica, resti di cavi elettrici, e gran quantità di granuli di miscele bituminose proveniente dalla fresatura delle strade, di fatto riciclati (ed occultati?) nel composto. Sul Computo metrico estimativo, alla voce: “Misto pietrisco spaccato di pezzatura 20/50 mm sottofondo aree pavimentate inerti naturali”, è prevista la fornitura di oltre 6 mila mc di pietrisco, a 39,90 euro al mc, per un importo di oltre 240 mila euro. Difficile immaginare che la fornitura del materiale realmente utilizzato possa costare altrettanto, quando per il frantumato riciclato misto il costo a frantoio pare non superi i 2/5 euro a mc.  

Ora, sul Decreto 69 del 28.03.2018, allegato 1, si legge: “Scopi specifici per i quali (…) è comunemente utilizzato il granulato di conglomerato bituminoso: (…) per la produzione di aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego nella costruzione di strade, in conformità alla norma armonizzata UNI EN 13242, ad esclusione dei recuperi ambientali”.  

Dunque, come è stato possibile autorizzare l’uso di un simile materiale per un progetto che nella relazione generale nomina più volte la parola “ripristino” riferito all’ambiente e va ad impattare una Riserva Naturale dello Stato, una zona “Rete Natura 2000” (ovvero sottoposta alle Direttive ambientali europee) ed una zona del Parco del Delta del Po, cioè per la quale le norme ambientali che regolamentano gli interventi dovrebbero essere assolutamente stringenti? Per di più in riva al mare, ovvero in un ambito tra i più sensibili e perennemente esposto agli agenti atmosferici più aggressivi? 

Un esposto inviato alla Procura di Ravenna e agli organi competenti speriamo possa far luce su quanto sta accadendo. 

Italia Nostra sezione di Ravenna 

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