Italia Nostra

Data: 8 Marzo 2018

Richiesta di rientro di mosaici faentini

La notizia di un’esposizione archeologica in un’area del deposito archeologico di palazzo Mazzolani, visibile attraverso le sei arcate vetrate anche se non visitabile, può in parte costituire un indennizzo per la città priva di quell’ auspicabile Museo Archeologico che la quantità e la qualità dei reperti musivi dall’età repubblicana al VI secolo d.C. realmente meriterebbe.

Sono passati quasi 40 anni dal primo progetto per un Museo negli ambienti a piano terra di palazzo Mazzolani ma la soluzione di un museo con finalità espositive e didattiche che possa collocare Faenza a pieno titolo nel circuito dei principali Musei archeologici dell’Italia settentrionale, non è mai stato risolto, tenendo quasi all’oscuro la città di una parte fondamentale della propria storia.

Circa sette anni fa poi, i mosaici probabilmente di maggior interesse e richiamo, quali quelli policromi figurati dello scavo di via Dogana, quelli dello scavo di via Pasolini, oltre alla ben nota “pantera” di via Cavour, sono stati trasferiti nell’esposizione permanente “T’amo” nel complesso di San Nicolò a Ravenna ed inseriti come elementi qualificanti in un ricco ed articolato percorso, operazione giustificata a quel momento dalla mancanza a Faenza di condizioni per la loro esposizione e allo scopo – si è detto – di consentire ai faentini e non solo di conoscere e ammirare gli eccezionali reperti del proprio territorio.

Senza invocare paragoni estremi di spogliazioni e razzie avvenuti nella storia, si considera comunque che questa imbarazzante concessione ha privato la città di una parte fondamentale della Faventia romana, un patrimonio di cui si è detto che “rende Faenza un caso del tutto particolare della regione e non solo”, operazione molto discutibile sotto il profilo culturale di cui a nostro avviso devono assumersi la responsabilità senza se e senza ma sia chi la concesse sia chi la autorizzò.

Ci si chiede quindi come oggi si possano giustificare culturalmente queste clamorose assenze in un’esposizione archeologica, col rischio di una esposizione solo parziale ridotta alla funzione di arredo qualificante dell’area.

Coscienti dell’indiscutibile importanza della questione che va collocata nel quadro più complesso della dignità di tutto il patrimonio museale faentino e del rispetto per la città e la sua cultura, per ricostituire nella sua interezza la trama della storia di Faventia romana nel suo luogo naturale, essendosi ricreate le condizioni per una esposizione e in ottemperanza a quanto previsto dalla convenzione, si invoca con fermezza la definizione di un accordo tra il Comune di Faenza e gli enti di Ravenna coinvolti, che sancisca tempi e data certa di un rientro dei reperti che non può più essere negoziato a rischio della credibilità della politica culturale degli stessi, invitando all’eventuale scelta di altri mosaici.

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