La brutalità dell’intervento sulle banchine del Tevere sarà mitigata “solo” dal colore, vale a dire “cerottini per un massacro”. Italia Nostra Roma aggiunge che il pessimo lavoro “di rifacimento” è la classica “pecionata” romana alla quale non intendiamo abituarci. Qualche considerazione:
– il materiale che costituisce i sampietrini è selce, materiale vulcanico duro e assai poco poroso, l’asfalto, buttato sopra, prima o poi si staccherà e alla prima onda di piena scivolerà a fiume aumentando l’inquinamento;
– l’uso dell’asfalto non è per nulla naturale in una nazione che tenderebbe, a parole, alla transizione ecologica.
Non basta mitigare l’effetto estetico con un colore compatibile come debolmente suggerisce la Soprintendenza. Il vero lavoro qualificante che una Capitale e i suoi cittadini pretenderebbero sarebbe di rimuovere la strisciata d’asfalto solo appoggiata a terra (colore o non colore sempre uno spessore di asfalto rimane). Riprogettare, quindi, la pista ciclabile con materiali ecosostenibili e rispettosi dei vincoli paesaggistici come il cocciopesto (frammenti di selce e malta di calce idraulica) tecnica nota a tutti gli addetti ai lavori, quelli raffinati. Se progettata nella maniera corretta si sarebbe potuto ottenere un intervento compatibile dal punto di vista ambientale e non così ferocemente attaccato sui social.
E se per una volta i decisori avessero il coraggio di tornare ai blocchi di partenza?
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