Chiudiamo gli occhi e facciamo un sogno: passeggiare su una strada, il decumanus maximus, costruita più di duemila anni fa dai romani. Quale turista non sceglierebbe come meta Ascoli Piceno per vivere questa esperienza della vista e del sentimento?
La recente scoperta (con immediato seppellimento), nel corso dei lavori stradali in corso Mazzini, di alcuni pezzi dell’antico decumano ripropone una riflessione. Ascoli Piceno, è noto, è una città nata prima di Roma, con tante e tante testimonianze del suo passato. Come pochissime città italiane possono vantare. Si può tranquillamente affermare che la città è davvero un libro di storia con le sue testimonianze romane, i suoi palazzi gentilizi di travertino, le torri, gli orti murati medievali, le chiese barocche, il liberty del Caffè Meletti e tanto altro. Ma molto, moltissimo, sta ancora sottoterra. Infatti appena si scava un po’ – basta ricordare piazza Arringo, via D’Ancaria, via Trivio, via Nicolò IV solo per citare i casi più recenti – ed ecco che emergono colonne, mura, tombe, ossari, mosaici, anfore, pezzi di strade.
Ma le esigenze di cassa delle istituzioni pubbliche hanno fino ad oggi imposto di ricoprire subito questi resti archeologici. Ma è proprio pazzesco ribaltare il ragionamento? E se, invece, si provasse a scavare non per caso ma con campagne ragionate e rigorosamente scientifiche? Insomma, se provassimo, naturalmente cum grano salis, un pezzetto alla volta, a riportare alla luce i reperti archeologici di più alto significato? E se non si volesse programmare una sistematica campagna di scavi, si prevedesse almeno preventivamente come tutelare, conservare e rendere fruibili i reperti, rinvenuti occasionalmente nella nostra città? Queste riflessioni non vogliono essere provocatorie. Vogliono invece aprire un franco dibattito in città tra esperti, amministratori e semplici cittadini. Siccome non si ragiona più, da un bel pezzo, su investimenti per il futuro (a parte il discusso progetto Restart per l’area ex Sgl Carbon), riportare alla luce testimonianze della nostra storia significherebbe creare i presupposti per un nuovo sviluppo turistico ed economico basato sulla storia della città e sulla valorizzazione delle sue fantastiche risorse culturali.
Quale turista non pagherebbe per percorrere, toccare, un tratto di decumano? Poche città potrebbero vantare una simile attrazione. Sarebbe bello, come detto, un dibattito su questa possibilità di sviluppo della città. Invece di sotterrare, affidare da subito l’incarico ad un archeologo per verificare che cosa si potrebbe far emergere nel caso si optasse per una ricerca sistematica oppure cosa conservare e rendere fruibile nel caso di scoperta occasionale di reperti. Programmando quindi un’attività di ricerca protratta nel tempo, magari da qui a 10-20-30 anni o limitandosi almeno a definire modalità accorte di conservazione e fruizione di quanto scoperto. Insomma non limitarsi più alla sola gestione ordinaria, ponendosi invece obiettivi prestigiosi. Convinti che le grandi idee, se sono grandi idee, camminano lentamente ma camminano. Realizzando, quindi, un grande investimento per il futuro: finalmente. Tornando a corso Mazzini, ormai il tratto dall’incrocio con via Trieste a quello con via Tito Afranio è stato lastricato con anonime pietre e, pare, destinato alla pedonalizzazione almeno parziale, coprendo ormai forse per sempre lo spettacolare tratto di decumano scoperto.
L’Arengo sostiene che non si poteva lasciare nessuna “finestra”, senza svenarsi, per sistemare le moderne tubature. I lavori stradali devono però continuare. Se riemergesse di nuovo il decumanus maximus, come probabile, questa volta, ha promesso il sindaco, almeno un pezzettino, resterà visibile. Solo un pezzettino. E se fosse invece un tratto più lungo, più significativo, più redditizio in termini di ritorno turistico ed economico? Non sarebbe meglio? Un momento di riflessione appare necessario. La proposta di Italia Nostra all’Amministrazione comunale è intanto questa: salviamo (alla vista) il salvabile del decumanus maximus, documentando con dei pannelli illustrativi il significato e il valore di quanto scoperto.
Nel contempo si affidi l’incarico ad un gruppo di archeologici sia per sapere quanto credibile e realizzabile può essere una campagna di scavo mirata sia per l’indicazione delle modalità più corrette di conservazione, tutela e responsabile fruizione dei reperti venuti alla luce occasionalmente. I luoghi sospettati di contenere tesori sono tanti. Qualche anno fa qualche illuminato aveva ipotizzato una nuova campagna di scavi anche a Castel Trosino alla ricerca di nuove tombe dei Longobardi. Pensiamoci. Proviamoci. Se ci sta a cuore la città pensiamo al suo domani e alle nuove generazioni. Tra i tanti sacrifici che ci vengono richiesti, ne potremmo fare uno di più, in questo caso certamente non inutile.
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Il Presidente della Sezione Italia Nostra di Ascoli Piceno
Prof. Gaetano Rinaldi