Italia Nostra

Data: 12 Dicembre 2016

La demolizione dell’ex fiera di Civitanova: l’evoluzione peggiore dell’incapacità a progettare uno spazio pubblico

L’edificio dell’ex fiera di Civitanova è stato demolito. Ne è stata lasciata la struttura in cemento armato che ne definiva lo spazio, ma tutto il resto è stato rimosso. Su questa vicenda pensiamo sia doveroso fare alcune osservazioni.

Innanzitutto una premessa. Tralasciamo completamente il discorso relativo al danno, elevatissimo, legato alla perdita di un bene culturale: se una collettività non riconosce che un determinato prodotto della sua attività passata, seppur recente, non meriti di essere conservato è un problema di cultura e di sensibilità. Italia Nostra, nella convinzione che la tutela del patrimonio culturale italiano passa anche attraverso la sua conoscenza, non può che ripromettersi di intensificare questa sua azione di condivisione del sapere, con l’obiettivo di evitare, in futuro e per quanto nelle sue possibilità, scempi analoghi.

Vorremmo invece porre l’attenzione su di un altro aspetto: la velocità con cui si è risolta la questione, con soddisfazione apparentemente unanime di tutti i civitanovesi.

L’area in questione necessitava oramai da anni di un forte piano di riqualificazione che correggesse la congestione veicolare ed il degrado sociale in essa presenti. Se ne parla da molto, ma il primo atto reale (e rapido) per affrontare la questione è stata proprio la demolizione di un bene pubblico, entrato da poche settimane in possesso diretto del comune di Civitanova.

La cosa che fa scalpore, almeno ai nostri occhi, è che questo primo atto sia stato realizzato sulla base di una quasi completa assenza progettuale, nonostante l’intenso dibattito degli anni addietro. La redazione di un progetto è, per sua natura, un momento di discussione delle alternative possibili, di condivisione delle scelte, aspetto questo ancora più evidente e rilevante nel caso di una proprietà pubblica, di un bene comune. Ma niente di questo è stato fatto. E da questa mancanza è scaturita la velocità dell’azione.

Se si fosse fatto un progetto, ci sarebbe voluto del tempo, è vero, ma già dalla fase preliminare si sarebbe rilevato che tutti i problemi che si riconoscono per quell’area sono di fatto indipendenti dall’edificio dell’ex fiera: non è lui che crea la congestione, ma la densificazione edilizia a cui è stata sottoposta tutta quell’area nei decenni successivi alla sua edificazione; discorso analogo per il degrado sociale: se quell’edificio è rimasto inutilizzato (e quindi vuoto) per tutti questi anni le responsabilità sono da ricercare nelle scelte di chi lo ha gestito visto che carenze strutturali o impiantistiche dell’edificio, una volta individuate, avrebbero potuto essere tranquillamente sanate. Un progetto preliminare avrebbe fatto rilevare quindi che la demolizione non avrebbe risolto nessun problema. Al massimo lo avrebbe spostato da qualche altra parte.

Se si fosse proceduto alla pianificazione della riqualificazione di quella zona si sarebbero date risposte a domande del tipo: come posso mettere in relazione i vari soggetti presenti per risolvere le criticità dell’area? C’è il soggetto pubblico, ma ci sono anche le attività commerciali. I gestori delle proprietà demaniali. I residenti. I proprietari di case da fittare. Un progetto virtuoso li avrebbe messi in dialogo, definendo sin dall’inizio i costi che ognuno di essi doveva sostenere per raggiungere gli obiettivi, e quindi i guadagni singoli, prefissati.

L’avvenuta demolizione dell’ex fiera senza la definizione di una benché minima progettualità testimonia purtroppo che in quella scacchiera di utili potenziali e di finalità differenti, l’interesse pubblico è il più debole. È la proprietà pubblica che accantona completamente ogni pretesa di valorizzazione dei suoi frutti, acconsentendo ad un fittizio arricchimento degli altri soggetti e ad un reale impoverimento della collettività cittadina.

Appare utile, in conclusione, aggiungere un’ulteriore precisazione, anche in funzione dell’incipit iniziale: il problema di tutta questa operazione non è la demolizione di per sé stessa, ma il fatto che ci si trova dinnanzi ad un edificio culturalmente rilevate e in assenza di un piano condiviso pubblicamente. Se domani, o tra vent’anni, si definisse un piano di reale riqualificazione di un’area degradata che preveda, ad esempio per far spazio ad un parco pubblico o ad un’altra attrezzatura pubblica, la demolizione del vecchio Civita Center o, una volta diventati vetusti, dei capannoni del Cuore Adriatico, dell’attuale palazzo delle fiere, e dell’Eurosuole Forum, costruzioni cioè che nemmeno lontanamente hanno le qualità dell’edificio abbattuto, allora quel progetto riceverebbe il plauso e l’appoggio più completo di Italia Nostra.

Siamo in un momento storico in cui siamo effettivamente bloccati da burocrazie e colpevoli degenerazioni dei meccanismi democratici. Per il loro superamento ci vogliono persone con progetti forti e condivisi, basati sulla spinta verso il futuro, ma che fanno tesoro delle esperienze passate. Cancellare queste ultime (o demolirle) sarebbe un indebolimento. Tra di esse, degne di studio per una futura applicazione, ci sono i beni culturali. In questo senso i beni culturali sono una risorsa per la collettività di cui facciamo parte. Ed in questo senso è indirizzata l’azione di Italia Nostra.

Macerata, 09 dicembre 2016

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