Italia Nostra

Data: 18 Luglio 2018

Spento l’incendio della ORIM: riusciremo ad evitare nuovi danni ambientali creati dall’attività umana? Parte seconda

Quando accadono eventi nefasti, come questo incendio alla ORIM, fanno sempre molta presa le parole di protesta. Ce ne rendiamo conto e per questo ribadiamo la nostra intenzione di contribuire alla costruzione di risposte nuove e adeguate a partire da quelli che per noi sono degli errori: non cerchiamo pertanto dei colpevoli da condannare per ipotetici sbagli (siamo una semplice ONLUS ambientalista, non un tribunale) ma proviamo a proporre idee e posizioni perché non succedano disastri analoghi a questo.

Lo dicevamo anche nello scorso intervento: il tema è complicato e non può essere sviscerato tramite le poche righe di un comunicato. Proviamo ad evocarlo nel modo più chiaro possibile.

Il ciclo dei rifiuti è uno dei diversi capitoli contenuti nel tema più generale della gestione del territorio. In esso si sovrappongono, a volte contraddicendosi, almeno tre normative: quella paesaggistica, quella urbanistica e quella ambientale. Alle normative corrispondono molteplici enti nazionali e locali con i relativi uffici che, applicando quelle normative, pianificano, valutano e autorizzano tutte le trasformazioni del territorio che vanno ad incidere materialmente sulla vita di ogni suo abitante. Molto spesso senza un coordinamento reale delle strategie messe in campo.

Sullo sfondo, la recente riforma Del Rio sulla riorganizzazione degli enti locali, riforma in cui le regioni son chiamate a giocare un ruolo fondamentale, soprattutto in tema di riordino delle provincie. La loro attività principale è proprio quella del coordinamento e del controllo sulla pianificazione del territorio ma ad esse si stanno via via diminuendo risorse, personale e funzioni da svolgere.

Affinché le difficoltà legate alla partenza (quella imposta agli enti locali dalla riforma Del Rio) non si trasformino in un’impasse perenne c’è bisogno di una politica forte, che abbia bene in mente un disegno complessivo che sappia far fronte a quella complessità che abbiamo provato ad evocare nel paragrafo precedente. Quella regionale, sia per ampiezza che per capacità e competenze, appare la scala opportuna a cui tratteggiare quel disegno, verificandolo su ogni particolarità locale e raccordandolo con le altre istanze provenienti dal resto del territorio nazionale. Da qui il nostro appello alla regione e alla sua politica.

Purtroppo quel disegno non c’è. O, perlomeno, ci sfugge. E le argomentazioni dell’assessore all’ambiente espresse nel recente comunicato, a metà tra il burocratico ed il retorico, non ci danno spunti sufficientemente forti per cambiare idea.

La questione delle richieste di autorizzazioni per nuove cave in provincia di Macerata a cui da sempre ci opponiamo è in tal senso palese. Abbiamo una provincia che fa il pesce in barile, i comuni costretti a rilasciare le autorizzazioni sulla base di un piano cave provinciale mai approvato dalla regione, e la regione che, di fatto, non interviene, trincerandosi dietro a dichiarazioni di contrarietà ma senza compiere quegli atti che riescano ad incidere realmente, bloccandoli, in quei processi autorizzativi. La riduzione dei materiali estratti a cui si accenna, purtroppo, non è frutto di una determinata politica regionale. La crisi del mattone ci appare più determinante, con la richiesta delle nuove cave che sembra legata essenzialmente a dinamiche di tipo finanziario (con la cava autorizzata, anche se non lavora, ci si va a chiedere i prestiti in banca…).

In questo quadro ci vorrebbe invece una regione forte, decisa e coraggiosa.

La regione Toscana, per non andare troppo lontano, nel 2014 approvò una importante legge sulla gestione del territorio tra i cui molti meriti (seppur indeboliti da aggiornamenti recenti) vi è quello dell’avere introdotto la distinzione tra territorio urbanizzato e non. All’interno del primo, sono consentite le trasformazioni che comportano impegno di suolo non edificato a fini insediativi o infrastrutturali; all’esterno non possono essere previsti insediamenti residenziali e ogni nuovo consumo di suolo deve essere approvato da una Conferenza di copianificazione cui partecipano la Regione e gli enti locali interessati.

In quello stesso anno, il Forum Paesaggio Marche, di cui Italia Nostra è membro attivo, presentò in regione una proposta di legge di iniziativa popolare sullo stesso tema per cui si raccolsero poco meno di 9000 firme (novemila firme!). Alla sua base ci sono gli stessi principi che hanno fatto della Toscana la regione con la normativa più innovativa in ambito nazionale.  Quella proposta di legge, imperniata sulla riduzione del consumo di suolo e che poteva fare della regione Marche un’avanguardia in campo urbanistico, è invece ferma sulla scrivania di qualche consigliere, in attesa di non si sa cosa, senza che su di essa sia avviata nessun tipo di discussione o di verifica.

In conclusione, con i nostri interventi ci si chiede se, in futuro, riusciremo ad evitare disastri ambientali come l’incendio della ORIM. E si sottolinea la necessità di tracciare un percorso netto verso una direzione ben precisa in ambito di gestione del territorio. Le critiche mosse verso la politica ambientale della regione non vogliono essere polemiche contro questo o quel personaggio ma servono per descrivere un atteggiamento che riteniamo troppo morbido e passivo nei confronti di una questione così centrale come la gestione del territorio. Vorremmo sinceramente essere smentiti. Ma nei fatti. Non a parole.

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