Italia Nostra

Data: 9 Luglio 2018

Spento l’incendio della ORIM: riusciremo ad evitare nuovi danni ambientali creati dall’attività umana?

Coinvolti i territori di quattro comuni. Evacuati un centro commerciale e uffici del circondario. Vietato il consumo di prodotti agricoli raccolti in zona in attesa dei risultati delle analisi dell’ARPAM. Queste, in brevissimo, le conseguenze dell’incendio che qualche giorno fa ha bruciato parte della ORIM, industria che opera nello smaltimento dei rifiuti industriali, a Piediripa di Macerata.

La ferita è ancora freschissima ed intensa è la preoccupazione per le conseguenze di quanto è successo ma, anche in tale situazione, vorremmo provare a evitare facili polemiche nel tentativo di analizzare le informazioni che abbiamo a disposizione (praticamente quelle delle prime righe) e di gettare le basi per una reazione all’emergenza che sia opportuna e lungimirante.

Innanzitutto, cosa è successo? Non è stato un evento naturale, un terremoto o un qualcosa di imprevedibile. L’incendio della ORIM è una conseguenza dell’attività umana, una attività che, seppur svolta, nella migliore delle ipotesi, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza e con tutte le attenzioni possibili, ha determinato un qualcosa che ha spinto quattro sindaci a ordinare ai propri concittadini di rimanere a casa con le finestre chiuse. Il tutto era ampliamente prevedibile e, se fosse stata fatta su quella zona una pianificazione degna, non ci troveremmo nelle condizioni di oggi, in cui possiamo solo sperare in conseguenze che non siano troppo gravi.

Seconda questione che riteniamo rilevante. Dal sito internet della ORIM leggiamo che l’azienda ha una storia più che trentennale, svoltasi per lo più nello stabilimento di Piediripa, zona che nelle ultime vicende urbanistiche maceratesi ha visto la previsione e la realizzazione di nuove volumetrie, residenziali, commerciali e produttive, sia nel comune di Macerata che nell’adiacente comune di Corridonia. Il tutto autorizzato, realizzato e utilizzato come se quello stabilimento pericoloso non esistesse.

Terzo aspetto, che poi, di fatto, contiene tutti i precedenti: il territorio è una risorsa finita, non riproducibile e tutti gli abusi che su di esso vengono di continuo perpetrati si riverberano direttamente, come in questo caso, sulla salute dei cittadini che lo abitano. Tutti ne siamo proprietari, tutti ne siamo responsabili e tutti dobbiamo goderne allo stesso modo: perché questo accada, c’è bisogno che il territorio sia governato sulla base di una serie di norme eque, chiare e trasparenti, valide per tutti. Queste norme esistono, ma la loro applicazione è quantomeno ondivaga.

La regione, con la provincia svuotata di competenze e risorse, appare il primo ente da chiamare in causa per la gestione delle tematiche prima evocate, nel tentativo di dare una qualsiasi risposta alla domanda che ci si poneva nel titolo.  Detto questo, non possiamo però non osservare la sua sostanziale assenza: la politica ambientale della nostra regione appare del tutto vuota, mancante del minimo obiettivo definito e dichiarato, sempre in balia dell’emergenza di turno.

Osserviamo con rammarico una regione il cui consiglio approva all’unanimità una legge avanzata dall’opposizione sul divieto di bruciare rifiuti in impianti regionali ma che si trincera dietro ad un parere tecnico negativo per negare il rinnovo di un’autorizzazione ambientale per il proseguo dell’attività del cementificio di Castelraimondo, il potenziale nuovo inceneritore sulla testa dei cittadini marchigiani. Basterà che l’azienda risponda alle prescrizioni mosse dagli uffici regionali per far ripartire tutta la procedura. Osserviamo con preoccupazione una regione che non riesce a bloccare gli iter autorizzativi per l’apertura di nuove cave nei territori dei comuni di Treia e Cingoli, nonostante i vari assessori interessati si siano dichiarati contrari e nonostante, soprattutto, le nuove autorizzazioni per le nuove cave siano state richieste sulla base di un nuovo piano redatto dalla provincia ma su cui la regione non ha ancora espresso un parere ed in palese contrasto con le previsioni regionali. Osserviamo con dolore una regione che saluta con entusiasmo il rilancio della cava della Gola della Rossa, nel pesarese, con tanto di visita di presidente e assessore alle attività produttive, per degli interventi che la proprietà era stata condannata a realizzare dal 2009, con milioni di euro di multe ancora pendenti sulla proprietà rilasciate dalla polizia municipale di Serra San Quirico, sul cui territorio insiste la cava, per aver oltrepassato i limiti imposti dalle concessioni.

Tornando alla domanda iniziale, possiamo quindi affermare che la risposta è nelle mani della regione e della sua amministrazione e che, se si continua sulla strada sinora battuta, con le tematiche ambientali sempre subordinate ad altre istanze, quella risposta non potrà che essere negativa.

Definizione delle priorità. Pianificazione delle modalità per raggiungerle. Attuazione delle modalità pianificate nella gestione del territorio. Come si vede non stiamo proponendo soluzioni più o meno definite ma la definizione di un metodo, ad oggi completamente assente, per la costruzione di quelle soluzioni, un metodo all’interno del quale tutti possono dare un proprio contributo, in cui tutti possono partecipare, con trasparenza e condivisione, portando avanti gli interessi che legittimamente partecipano alla vita democratica della nostra comunità.

La domanda che ci si poneva nel titolo è a suo modo banale per la sua risposta apparentemente scontata. Noi non ci aspettiamo un sì o un no, bensì l’adozione, da parte della politica regionale, di quel percorso che stiamo proponendo: solo quando il territorio sarà considerato come quel bene comune da tutelare e governare nell’interesse di tutti i suoi abitanti potremo finalmente osservare delle risposte reali a quella domanda. Rimaniamo in ascolto.

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