Italia Nostra

Data: 9 Gennaio 2014

“Contraddizioni di una riforma” di Sergio Rizzo

Articolo di Sergio Rizzo tratto da Il Corriere della Sera (del 08.01.2014):

Il governatore della Puglia Nichi Vendola si dice sicuro «che la popolazione alla fine vincerà questa battaglia». E dunque la Trans adriatic pipeline che dovrebbe portare 10 miliardi di metri cubi di metano l’anno dalle regioni del Mar Caspio all’Europa sbarcando dall’Adriatico sulla costa del Salento soccomberà all’offensiva dei «No Tap». Destino analogo, con tutta probabilità, a quello del rigassificatore di Brindisi, affogato 11 anni dopo l’avvio del progetto della British Gas in un gorgo di veti locali, cavilli burocratici, nulla osta promessi e mai concessi. In entrambi i casi l’opposizione è stata ufficialmente motivata dalle preoccupazioni ambientali. Particolarmente serie per quanto riguarda il gasdotto del quale si parla ora, considerando il valore paesaggistico del litorale salentino. Perciò da non sottovalutare.

Al tempo stesso, però, bisogna domandarsi perché in una Regione cui sta tanto a cuore il rispetto dell’ambiente da riuscire a bloccare con una lunga guerra di logoramento impianti destinati secondo gli esperti ad aumentare la concorrenza e l’efficienza riducendo i costi dell’energia, abbiano devastato una campagna meravigliosa con migliaia di pale eoliche, spesso inutili. Alla fine del 2012 ce n’erano in Puglia ben 1.985. Più che in qualsiasi altra Regione, e su un territorio pressoché piatto come un tavolo da biliardo. In un anno ne sono spuntate 592. Nel solo Comune di Sant’Agata, in provincia di Foggia, se ne contano 111: una ogni 19 anime. Per non parlare delle sterminate distese di pannelli fotovoltaici che hanno sottratto centinaia di ettari all’agricoltura. Anche qui la Puglia è prima in classifica con 2.497 megawatt installati: un impianto ogni 106 abitanti.

Succede in Puglia, e succede in Sicilia. Dove hanno piantato pale eoliche anche in posti noti per l’assenza di vento, fino a insidiare il record pugliese toccando quota 1.749. E hanno fermato pure lì un rigassificatore, a Priolo, come risultato di una estenuante conferenza dei servizi. Cinquantaquattro giorni impiegati solo per la stesura del verbale nel quale si imponeva l’interramento dell’impianto in una zona industriale: condizione capestro che ha fatto sfumare l’investimento Erg-Shell da un miliardo.

Sono le due facce dell’incredibile pasticcio che la riforma del titolo V della Costituzione, decretando «il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia» materia di legislazione concorrente fra Stato e Regioni, ha contribuito a rendere irrisolvibile. Le Regioni e gli enti locali hanno gli strumenti per paralizzare un’opera d’interesse dell’intero Paese ma non impediscono scempi indicibili in casa loro. In tale contesto la politica energetica dell’Italia, che dovrebbe essere ancora fra le prime dieci potenze industriali del mondo, è semplicemente inesistente. Dipende dagli umori dei Comuni o degli enti che prima danno i permessi e poi li revocano. Dipende da interminabili conferenze di servizi dove ognuno pesta i piedi al proprio vicino. Dipende dai cicli elettorali e dai politici locali a caccia di consensi dribblando le responsabilità: in barba al sano principio che vanno ascoltate le ragioni di tutti, ma poi si deve decidere. Finendo così per diventare prigioniera delle lobby. E senza che nessuno abbia finora pensato di porvi rimedio, imprese e cittadini continuano a pagare bollette salatissime.

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