Italia Nostra

Data: 1 Ottobre 2012

Ostuni: verso una “fruizione impossibile” dei beni culturali?

Riflessioni e proposte sui metodi di restauro e recupero del patrimonio architettonico-paesaggistico in terra di Ostuni

Negli ultimi quindici anni il tema della salvaguardia e della tutela del patrimonio storico, artistico, architettonico, archeologico e del paesaggio salentino è stato oggetto di molteplici studi e dibattiti inerenti la fruizione e la valorizzazione dei beni culturali locali. Si è detto e scritto molto in merito agli interventi finanziati da Enti locali, dalla Comunità Europea, dalle Diocesi e alle relative quantità di denaro profuse al fine di “recuperare” strutture architettoniche e contesti paesaggistici, in funzione di specifici modelli di consumo del territorio e delle sue risorse.

Poco, invece, è stato fatto concretamente in ambito pubblico e privato per conservare lo stesso patrimonio, obiettivo senza il quale né la valorizzazione né la fruizione possono risultare perseguibili nel medio lungo termine. Inoltre molto spesso si è ignorato che la conservazione del patrimonio architettonico e paesaggistico è il fine a cui mira qualsivoglia corretta buona prassi di tutela e di salvaguardia del creato. Infatti, la conservazione viene perseguita applicando quegli interventi (il restauro critico accompagnato talvolta dal recupero funzionale, in extremis dal ripristino), che garantiscono il mantenimento di quelle condizioni d’equilibrio, senza le quali non sarebbe possibile la vita degli esseri viventi sulla Terra. La letteratura scientifica ha analizzato in modo esaustivo il significato dei termini in gioco e gli ambiti di rispettiva applicazione; si consultino, ad esempio, i volumi del Trattato di Restauro architettonico, edito dalla UTET (1996-2010).

Nel Salento, in controtendenza rispetto alle esperienze nazionali e internazionali, trascurando spesso la ricerca di quelle condizioni di equilibrio senza le quali non vi può essere fruizione possibile dei beni culturali, gli addetti ai lavori (i tecnici degli uffici pubblici, i liberi professionisti, gli stessi amministratori, i cittadini tutti) hanno spesso compiuto scelte improprie, dominate più dalla logica economica della “rendicontazione”, del “fare tanto” e del “fare presto”, che non da quelle più propriamente storico-culturali.

Ad esempio, nella primavera del 2008 sono stati distrutti acriticamente setti murari a secco medievali extra moenia, posti a valle del rione ‘Terra’, alti circa 2-2,5 metri. Questa operazione è stata compiuta alla luce della logica economico-funzionale di garantire a un numero maggiore di automobili di raggiungere agevolmente il centro storico della città Bianca. Così facendo si è cancellato irreversibilmente un brano di storia urbana e rurale stratificato nei secoli, dall’età preclassica a quella novecentesca. Quasi contemporaneamente e nella stessa area, circa settanta tombe messapiche venivano attraversate dal nuovo impianto di sottoservizi di fogna bianca, pur avendo informato l’amministrazione comunale che quell’intervento era inopportuno e scorretto. In modo altrettanto improprio i vuoti nei muri a secco medievali del rione Sant’Elena sono stati rinzaffati con malta di cemento lasciata a vista.

Recentemente (aprile-maggio 2012), lisci e idrorepellenti manti di asfalto nero sono stati stesi lungo alcune strade vicinali di proprietà comunale, fino a lambire i bordi dei muretti a secco pluricentenari. Quest’ultimi sono stati in più punti abbattuti e ricostruiti con forma e tecnica costruttiva errata nella struttura, nella tecnica oltre che nella forma. Pertanto, le originarie sezioni murarie a secco, troncopiramidali, alte circa 130 cm a valle e 80 cm a monte, lungo le curve di livello, sono state morfologicamente tramutate in muretti a secco di esiguo e costante spessore, poggiati su uno pseudosedile in conglomerato cementizio steso senza alcuna accortezza tecnica.

Purtroppo tale sorte ha interessato anche l’antico tracciato viario che da Ostuni (Brindisi) conduce al Santuario di Santa Maria D’Agnano, attuale area vincolata dell’omonimo Parco archeologico e naturalistico, percorrendo un tratturo d’importantissimo valore storico-archeologico; prima dell’intervento erano visibili i solchi delle carrarecce di età preclassica e un percorso intagliato anticamente nella roccia di pregevole valore naturalistico.

Chi ha ordinato tali interventi non conosce né la storia dell’architettura, né la storia tecnico-costruttiva del luogo, né i manuali di architettura tecnica.

Eppure, le buone prassi conservative costituiscono da tempo argomento ampliamente trattato in sede scientifica, tecnico-amministrativa oltre che presso alcune scuole edili provinciali, che si fanno carico dello svolgimento di corsi di specializzazione per giovani maestranze locali. La Regione Puglia ha istituito all’interno dei comuni le Commissioni locali per il paesaggio, alle quali è demandata la verifica della compatibilità delle azioni progettuali proposte in riferimento alle prescrizioni dettate dai P.U.T.T. (piani urbanistici territoriali tematici).

Nel Salento le buone pratiche di restauro critico-conservativo, quando note, sono scarsamente applicate oppure mandate in deroga a causa di progetti insensibili al tema della conservazione; cronoprogrammi dei lavori che premiano la velocità d’esecuzione piuttosto che la qualità; computi metrico estimativi sottodimensionati e tecnicamente lacunosi; ribassi d’asta insostenibili che compromettono la qualità stessa delle categorie di lavorazione; incompetenza tecnica accompagnata da irritante presunzione da parte di alcuni operatori. Non da ultimo lo scarso coinvolgimento nelle fasi di programmazione, progettazione, esecuzione di specialisti della materia (architetti specializzati presso le scuole di Restauro dei monumenti) e la sordità di quelle amministrazioni che non prestano ascolto ai preziosi suggerimenti operativi offerti gratuitamente dalle associazioni ambientaliste molto attive sul territorio, come lo è la sezione ‘Messapia’ di Italia Nostra.

Da qui nasce forte l’esigenza di non tacere, di sottolineare la natura degli errori di metodo e tecnici commessi e di promuovere una diversa cultura dell’intervento sulla preesistenza, votato alla conservazione critica e integrata del patrimonio culturale, anche attraverso la partecipazione attiva da parte di tutta la comunità alle scelte che l’amministrazione compie sul territorio.

Gli interventi sopra menzionati non possono essere considerati di natura conservativa, in quanto quelle scelte tecniche e quelle attività espletate sui beni culturali hanno cancellato le tracce della storia, sfregiato la preesistenza, compromesso irreversibilmente lo status quo. Si aggiunga, inoltre, che gli errori compiuti non sono solo di natura tecnica ma anche e soprattutto metodologica e funzionale; scaturiscono dall’assenza di una propedeutica riflessione scientifico-metodologica, dalla scarsa conoscenza dei valori storici di cui il paesaggio si fa testimonianza materiale, ovvero dalla conoscenza parziale e deviata delle istanze storico-estetiche della monumentalità diffusa nei centri storici e nelle campagne salentine (dalla piana degli ulivi secolari al carattere organico dei rioni Terra di città come Ostuni, Cisternino, Ceglie Messapica, Carovigno, San Vito dei Normanni, Locorotondo, Martina Franca ecc.).

I cattivi interventi offendono il paesaggio mediante l’uso di materiali, tecniche costruttive, prassi operative che vanno contro natura, che mal si sposano con la preesistenza, innescando un’azione di rigetto dell’elemento artificiale da parte di quello naturale. Al contempo, siffatti interventi di ‘restauro’ possono causare una ‘fruizione impossibile’ piuttosto che una gestione sostenibile e integrata del patrimonio culturale salentino di cui il territorio di Ostuni è ricco.

Pertanto, l’auspicio è che a livello pubblico come anche nel privato i cittadini acquisiscano una più matura consapevolezza dei valori storici ed estetici del proprio patrimonio architettonico e paesaggistico, promuovendo la “partecipazione attiva” in merito alle sorti dei beni culturali che sono beni di tutti, contribuendo a quel processo di sensibilizzazione, diffusione e condivisione dei saperi quale azione propedeutica alla progettazione della fruizione sostenibile della realtà territoriale salentina.

Ilaria Pecoraro

Vicepresidente della Sezione ‘Messapia’ di Italia Nostra

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