Italia Nostra

Data: 19 Gennaio 2015

L’autoctona gestione del patrimonio siciliano

Lo scorso agosto (2014), noi di Italia Nostra fummo i primi a lanciare l’allarme riguardo all’anomala sospensione dei nove soprintendenti siciliani (di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani) scrivendo: “Un atto che non ha precedenti e, come tale, di difficile lettura. Il provvedimento di sospensione è assai recente, risale a venerdì 1 agosto 2014. Premesso che la continuità amministrativa  è conditio sine qua non  per ben operare, non si comprende né l’utilitas, né la ratio  di tale provvedimento. Il Consiglio regionale di Italia Nostra Sicilia, le Sezioni siciliane di Italia Nostra e il consigliere nazionale Liliana Gissara (di Italia Nostra Siracusa) esprimono viva preoccupazione per gli effetti negativi che simili provvedimenti possono determinare sulle azioni di salvaguardia del patrimonio storico, artistico e ambientale poste in essere dalle  Soprintendenze. Provvedimento che, inevitabilmente, induce ad un indebolimento, ad una sospensione dei presidi di tutela. Gli interessi economico-speculativi che le Soprintendenze devono fronteggiare, nell’Isola, sono molteplici e consistenti e gli attacchi al loro operato numerosi, continui. La sospensione dei massimi dirigenti non è un buon segnale in quanto foriera di avvicendamenti che, di fatto, interrompono sia l’indirizzo culturale sia l’operatività di ciascuna Soprintendenza”.

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Giorgio Bassani, uno dei presidenti più prestigiosi di Italia Nostra, negli anni Settanta diceva che l’Associazione si era assunta il compito di difendere il patrimonio culturale e ambientale perché lo Stato non lo faceva con sufficiente rigore. Da allora, la situazione dell’impegno pubblico si è inabissata fino ad arrivare, in questi anni, al culmine di un processo perverso fatto di dismissioni, privatizzazioni, svendite, forte allentamento degli strumenti di tutela. In Sicilia, l’Autonomia, pessimamente interpretata, ha prodotto guasti, estese devastazioni ambientali, dolorose cancellazioni. Abusi e speculazioni.

Ma già precedentemente, nel settembre del 2010, a proposito del cosiddetto “valzer dei soprintendenti”, avevamo scritto: “L’ennesima, ultima impresa “poltronista” del presidente della Regione Raffaele Lombardo è in evidente contrasto con una legge che egli stesso ha fortemente voluto e inserito nella brochure pubblicitaria del suo governo, alla voce “grandi riforme”. La legge 10 del 2009 che ridisegna la burocrazia regionale, infatti, stabilisce che soprintendenti e direttori dei musei vengano nominati dal dirigente generale dell’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana. Nella Sicilia “riformata”, dunque, la scelta dei vertici delle istituzioni culturali dovrebbe avvenire, più o meno, in questo modo: il direttore dell’Assessorato, dopo aver valutato attitudini e curricula dei candidati, dovrebbe scegliere quelli che ritiene più idonei a ricoprire gli incarichi. Dovrebbe, appunto. Di fatto, la Sicilia “riformata” non esiste. Quella che abbiamo di fronte a noi è la Sicilia di sempre, dove le nomine – ad onta di quanto previsto dalla legge – vengono fatte ricorrendo alle consuete intese tra le forze politiche. Del resto, una partita importante come quella delle Soprintendenze non poteva sfuggire all´occhio interessato dell’ormai ex presidente della Regione Lombardo. Così come non sfugge all’attuale presidente della Regione Rosario Crocetta. D’altronde, da quelle scrivanie si amministra un potere che, in parecchi casi, è superiore a quello di un assessore. Certo è, comunque, che in questi ultimi anni la discrezionalità politica nella scelta di vertici e dirigenti nel settore dei beni culturali e ambientali, in Sicilia, si è fatta sempre più pervasiva e pressante. Sempre meno legata alle effettive qualità tecnico-scientifiche dei soggetti prescelti. Tranne rare eccezioni.

Alla luce di quanto accaduto e accade, possiamo amaramente affermare che i lunghi anni di formazione e specializzazione, la professionalità acquisita, le ricerche scientifiche e le pubblicazioni non contano più nulla. Non vengono più considerate un patrimonio di esperienze da difendere e valorizzare. La gravità di questa situazione non può essere ignorata. Tanto più se si pensa alle numerose e delicate competenze trasferite dallo Stato alle Regioni. Tanto più se si pensa alla consistente lista di beni demaniali che sono passati dallo Stato alla Regione Siciliana. E’ una questione di civiltà, ma anche di rispetto della Costituzione italiana, che considera la tutela del patrimonio culturale e ambientale uno dei principi fondamentali della Repubblica. E d’altronde, dignità, competenza e prestigio delle strutture e dei funzionari dell’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana non sono sicuramente in cima ai pensieri di un potere politico tanto cinico quanto modesto. Velleitario. Insomma, il cinismo di pochi uccide il paesaggio, i nostri beni culturali. E se lo Stato non è all’altezza dei suoi compiti istituzionali, non resta che la responsabilità, l’impegno dei cittadini finalizzato a difendere valori e diritti imprescindibili.

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In questi ultimi due anni,  con il governo del presidente della Regione Rosario Crocetta, e la nomina del  dirigente generale, ing. Salvatore Giglione, la situazione si è persino aggravata. Lo scenario, ormai, è evidente: i funzionari, i dirigenti, i soprintendenti più preparati e rigorosi, che si ostinano a perseguire, a porre in atto politiche di tutela, secondo quanto loro richiesto dalla Costituzione e dai previsti compiti istituzionali, rischiano di essere rimossi, sostituiti. Eclatante, e ormai di pubblico dominio, il caso della rimozione e reintegrazione della soprintendente siracusana, l’archeologa Beatrice Basile. Ma anche in altri ambiti, ad esempio per quanto riguarda la tutela del territorio e dell’ambiente, emblematico e sconcertante appare il caso dell’ingegnere capo del Genio civile di Messina, Gaetano Sciacca, rimosso dal suo incarico istituzionale perché troppo attento e scrupoloso riguardo alle criticità del territorio messinese. E’ evidente che la difficoltà di coniugare tutela del patrimonio e sviluppo del territorio deriva da una carenza di cultura istituzionale. Un assessore regionale dovrebbe pretendere che nelle Soprintendenze e nei Musei lavorino, operino figure di altissima competenza e questo, invece, accade in alcune istituzioni e in altre no. Una vera cultura istituzionale è quella capace di dare alla competenza il giusto valore. E poi, nel difficile connubio tra salvaguardia e sviluppo conta la concezione stessa del patrimonio, e anche in Sicilia vale la Costituzione della Repubblica Italiana. L’articolo 9 è chiaro: il paesaggio e il patrimonio appartengono ai cittadini e fanno parte dell’identità nazionale e del possesso a titolo di sovranità. Questo è fondamentale. Di certo, il livello di salvaguardia e i criteri di valorizzazione del patrimonio devono essere identici in tutto il Paese. Sicilia compresa. Il sistema di tutela va comunque ripensato, snellendo le procedure e potenziando le risorse finanziarie, tecniche e amministrative. Accanto all’auspicabile incremento di operai specializzati, e di nuove figure che riguardano la valorizzazione e la comunicazione, sarebbe ugualmente necessaria una maggiore trasparenza sull’operato delle Soprintendenze, che renda tutti consapevoli dell’impiego dei fondi, del lavoro svolto o da svolgere.

Leandro Janni – Presidente regionale di Italia Nostra Sicilia

Caltanissetta, 18.01.2015

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