Italia Nostra

No alle trivelle facili nel Mediterraneo

6 Settembre 2011

Prosegue,  coperta dallo sconcertante silenzio del Governo, la corsa delle società straniere all’oro nero di Sicilia. Lo avevamo denunciato nel 2010, ma tutto continua, inesorabilmente: studi all’insegna del copia-incolla;  relazioni stilate da dietro una scrivania, senza aver mai conosciuto i luoghi; c’è persino chi si è dimenticato di un vulcano sommerso, ma che importa. Quindi, si presenta tale documentazione al Ministero dell’Ambiente e si possono impiantare pozzi petroliferi a pochi passi da isole come Pantelleria, Favignana e Marettimo. Tutto piuttosto semplice. Tutto alquanto assurdo.  Lo conferma in un comunicato anche la Northern Petroleum, una delle società interessate: “La legislazione italiana che vieta le trivellazioni off-shore entro le 12 miglia dalla costa avrà un effetto irrilevante (…)”. Come dire: le trivellazioni vanno avanti. Un mistero. Gli abitanti sono contrari. Enti locali di entrambi gli schieramenti hanno votato “NO”. Ma, lungo le coste della sola Sicilia incombono 40 concessioni per ricerche ed estrazione petrolifera. Alcune con procedura in corso, altre già rilasciate. Insomma, si può continuare, o cominciare.

Noi di Italia Nostra ne parlammo per primi, nel maggio del 2010. Erano passati appena cinque giorni dal disastro ecologico nel Golfo del Messico quando, l’allora ministro Claudio Scajola, con sventurato tempismo, aveva varato un decreto “per semplificare le procedure per le attività di ricerca petrolifera svolte d’intesa con le Regioni”. Uno dei suoi ultimi atti prima delle dimissioni. E dire che già l’ENI, negli anni Ottanta, aveva abbandonato i pozzi perché antieconomici. Stavolta, molti permessi sono già stati concessi in gran segreto, senza la pubblicità prescritta. I primi cinque arrivano nel novembre 2006 (Governo di Centrosinistra). Ad aggiudicarseli sono stati la Shell e la Northern Petroleum (tra Marettimo e Favignana). Poi tocca alla Audax Energy e nel 2009 (Governo Berlusconi) alla San Leon Energy. Concessioni vecchie di anni, alcune forse scadute, ma ottengono una sospensione “sine die” pubblicata sul Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse.

Tutti vogliono trivellare il mare siciliano. Colossi e società sconosciute: La San Leon Energy è una srl con capitale di diecimila euro. La sede è in un paesino della Puglia. Qualcuno ha provato a contattarli, ma ai recapiti forniti rispondono altre società. Non solo: la ditta risulta inattiva ed è stata ceduta a una società madre in Irlanda. Niente di irregolare, però elementi che, secondo le associazioni presenti sul territorio, suscitano allarme: “Come si fa a concedere a un soggetto di queste dimensioni sondaggi tanto delicati? In caso di disastro su chi rivalersi?”, si chiedono l’ing. Mario Di Giovanna e l’associazione AltraSciacca. La Audax Energy, altra società che vanta diritti importanti, ha un capitale di 120mila euro e rientra nella galassia di imprese del geologo Luigi Albanesi. Un nome che ricorre spesso in questa storia: come esperto, ha firmato studi per le società petrolifere. Anche le proprie. E qui Di Giovanna aggiunge: “Niente di illecito, ma ci pare poco opportuno che lo stesso amministratore firmi le relazioni tecniche delle sue imprese”.

Dopo le polemiche, le denuncie dello scorso anno, il Ministero dell’Ambiente ha posto dei limiti, dei divieti per le ricerche: da 5 a 12 miglia dalle coste e dalle zone protette. Alcune domande sono state bocciate. La corsa, però, è ripresa indisturbata. Ma perché così interessati alla Sicilia? No, non pare che sotto l’Isola si nascondano quantità rilevanti di oro nero. Le ragioni sono altre: le royalties che le compagnie pagano alla Sicilia sono tra le più basse d’Italia (l’Emilia Romagna, con quantità inferiori di idrocarburi, incassa 33 volte di più), che già vanta royalties tra le più basse del mondo. Lo dicono i produttori nei loro siti: “La struttura delle royalties in Italia è una delle migliori del mondo. Per i permessi offshore le tasse sono solo del 4 per cento, ma nulla è dovuto fino a 300.000 barili l’anno”. E pensare che in Libia si arriva all’85 per cento, in Norvegia e Russia all’80 per cento.  Così, nel rapporto annuale di una delle società, la Cygam, il nostro Paese viene eletto “il migliore per l’estrazione di petrolio off-shore”, forse anche per “l’assenza di restrizioni e limiti al rimpatrio dei profitti”. Dunque: di petrolio ce n’è pochino, magari si provocano danni ambientali, ma il profitto è garantito. Per i petrolieri – ovviamente.

Ad ogni modo, le associazioni presenti sul territorio (Lega Navale Italiana sezione di Sciacca, Greenpeace Onlus, Italia Nostra – Sezione di Sciacca, L’AltraSciacca, Cittadinanza attiva – Procuratore dei Cittadini – Sede di Sciacca, CGIL sede di Sciacca, costituitesi in un comitato denominato “STOPPA  LA PIATTAFORMA”) non demordono: denunciano ed evidenziano la straordinaria biodiversità presente nel canale di Sicilia.

In un documento inviato lo scorso 28 agosto 2011 al  Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, al Ministero dello Sviluppo Economico, al Consiglio Nazionale dei Geologi e all’Ordine Nazionale Biologi, le Osservazioni all’istanza di VIA per il permesso di Ricerca Idrocarburi denominato “d 364 C.R-.AX” – da realizzarsi nel tratto di mare compreso tra il Banco Pantelleria, il banco Avventura ed il Banco Talbot, nel canale di Sicilia, da parte della società Audax Energy srl con sede legale a Roma, in Via Nibby 7. (In allegato: Osservazioni VIA d 364 CR 28 agosto 2011)

NOTA_Specie mai osservate nei mari italiani, dal corallo nero alle gorgonie, fino ai piccoli di squalo bianco. Sono i risultati del progetto “Biodiversità Canale di Sicilia”, programma di ricerca finanziato dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare e svolto da un gruppo di ricercatori dell’ISPRA.

Il progetto è iniziato nel 2009 e si concluderà quest’anno: tra le specie individuate, la bellissima gorgonia arancione a forma di candelabro Elisella paraplexauroides, quella a frusta Viminella flagellum, entrambe mai osservate nei mari italiani, e intere pareti rocciose ricoperte dalla piccola e rarissima gorgonia Switia pallida. Durante le esplorazioni sono emersi numerosi siti caratterizzati da varie specie di corallo nero, il famoso Antipathella subpinnata e i più rari Antipathes dichotoma e Parantipathes larix, oltre al falso corallo nero Savalia savaglia. A circa 350 metri, nei tratti più profondi del Canale di Sicilia, sono stati scoperti numerosi reef di corallo fossile costituiti per la maggior parte da Lophelia pertusa e Madrepora oculata, specie che nel passato costituivano vere e proprie barriere coralline simili a quelle che oggi si possono vedere nel Mar Rosso.
Le isole di Pantelleria, Lampedusa e Linosa rappresentano veri santuari della biodiversità, il cui ruolo per la riproduzione del grande squalo bianco, per l‘alimentazione delle balenottere e per la riproduzione delle tartarughe marine è ormai riconosciuto.

Queste isole, come ricorda il responsabile del progetto Simonepietro Canese, dell’ISPRA, sono “in mezzo al Canale di Sicilia, punto d’incontro tra il bacino orientale e quello occidentale dove confluiscono quindi sia le specie di origine atlantica sia quelle che risalgono dal Golfo di Suez”. Il canale di Sicilia rappresenta perciò un “punto privilegiato per la biodiversità del Mediterraneo”.
Un’area di incredibile ricchezza naturale, quindi, che oggi è però a rischio, visto che di recente sono state avviate trivellazioni che hanno individuato ricchi giacimenti petroliferi nella zona di Pantelleria e in altri tratti del Canale di Sicilia. L’istituzione dell’area marina protetta prevista per Pantelleria impedirebbe questo tipo di operazioni, almeno in prossimità dell’isola. Infatti, Canese precisa che “secondo la legge italiana non si può effettuare nessuna attività di prospezione ed estrazione di idrocarburi a meno di 12 miglia da qualsiasi area di protezione”. Questa iniziativa andrebbe affiancata dalla creazione di aree di tutela di alto mare nel Canale di Sicilia, in modo da proteggere la Biodiversità marina e garantire una barriera per tutte le attività di esplorazione e sfruttamento petrolifero.

Nell’ambito del progetto sono stati utilizzati strumenti ad alta tecnologia, come il robot sottomarino (ROV) che ha permesso di esplorare l’ambiente fino a 500 metri di profondità e di catturare immagini in alta definizione di pesci e coralli mai osservati prima nel loro ambiente naturale. Sono stati poi adoperati trasmettitori satellitari e acustici per studiare gli spostamenti e le migrazioni di mante, cernie e dentici.

Leandro Janni

Consigliere nazionale di Italia Nostra

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