Italia Nostra

Data: 25 Luglio 2018

Il convento dei Santi Fabiano e Sebastiano a Marostica. Monumento da scoprire e proteggere

Sopra il primo nucleo di Marostica, Borgo Giara o “Bocha di Valle”, sorto all’incrocio tra l’antica strada “Pedemontana” e la via per l’Altipiano dei Sette Comuni, incombe l’imponente sagoma del Convento dei Santi Fabiano e Sebastiano. Questo insediamento religioso è documentato fin dal 1259 e sembra fosse di origine benedettina. Dalle “Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV” (1297) si evince che in seguito il monastero fu retto da monache, probabilmente umiliate o canonichesse di San Marco; non si conosce ancora l’epoca in cui l’ordine reggente tornò nuovamente maschile, ma documenti citano, come ultimo religioso presente nel monastero, un Frà Laureto, che sembra fosse un monaco eremita che ivi condusse vita solitaria, stante ormai la decadenza delle strutture.

Nel 1483-‘86 avvenne la rifondazione del convento ad opera dei frati francescani osservanti, ai quali il luogo sacro era stato affidato dalla comunità di Marostica, sensibilizzata dalle predicazioni in città del Beato Bernardino Tomitano da Feltre, dello stesso ordine conventuale, nonché dall’uccisione del piccolo Lorenzino Sossio, popolarmente considerato Beato, ma mai riconosciuto tale dalla Chiesa ufficiale: il suo corpo fu trasportato e custodito nella chiesa del convento e ivi rimase, oggetto di grande devozione, fino alla soppressione napoleonica, dopo la quale fu conservato nella chiesa di Santa Maria Assunta, l’antica pieve di Marostica situata a poche centinaia di metri ad ovest di Borgo Giara.   La rifondazione del convento comportò un importante ampliamento della chiesa, situata a nord del complesso, ricostruita a due navate e dotata di tre altari, campanile e abside a ovest; prese forma contestualmente il corpo principale dell’edificio, con la costruzione del primo grande segmento del corpo di fabbrica sud a partire da est fino al corpo centrale di collegamento con la chiesa, del quale oggi rimangono solo alcuni lacerti murari. L’insediamento aveva quindi planimetria rettangolare: sul lato nord la chiesa, sui lati sud ed ovest l’edificio conventuale e sul lato est un alto muro a chiudere il claustro scoperto centrale, che non si presentava ancora porticato. Al di là del muro, verso est, vi era un orto, contraffortato da un alto contenimento in pietra che perimetra, ancor oggi, il lato a monte del sentiero di accesso al convento dal Borgo.

Sulle pendici del colle, ad ovest, era il brolo con vigna e alberi da frutto. A nord della chiesa stava il cimitero. Nel corso dei secoli, secondo il susseguirsi di Riforma e Controriforma, l’edificio venne notevolmente ampliato: nel 1640-’45 venne realizzato un secondo chiostro ad ovest; i due claustri vennero arricchiti con portici voltati a crociera e logge soprastanti; furono ampliati il lungo corpo a sud e la chiesa, si costruirono due nuovi corpi trasversali a est (destinati probabilmente a parlatorio e a biblioteca) e a ovest (una grande cantina voltata a botte al piano terra e tre stanze per foresteria al primo piano); il campanile venne sopraelevato; al primo piano del corpo a sud, infine, furono ricavate le celle per i frati, in luogo del grande dormitorio precedente.  L’ultima, significativa trasformazione avvenne nel XVIII secolo, quando fu ulteriormente prolungato il corpo a sud per ricavare altre celle (che in tutto divennero 17) e venne costruito, di fronte alla facciata est della chiesa, un atrio voltato, sotto il quale erano arche sepolcrali, visibili ancora oggi; la chiesa stessa, che già era a due navate, venne ampliata verso nord con un’ulteriore cappella (probabilmente per la custodia e la venerazione del corpo del “Beato” Lorenzino), fino a raggiungere il numero di otto altari. La soppressione napoleonica, nel 1810, fece sì che il grande complesso conventuale andasse in progressivo decadimento, con la graduale rovina dell’intera chiesa (rimangono solo tracce dell’abside con fornice a sesto acuto), di buona parte dei chiostri, del corpo centrale e del campanile, crollato nel 1936 a causa di un fulmine. Della notevole quantità di opere d’arte un tempo presenti nel cenobio (tra cui dipinti di Jacopo Dal Ponte e Felice Cignaroli), sono visibili solo alcuni lacerti di affresco nelle lunette sotto il portico dei due lati residui di chiostro, con storie bibliche e della vita di San Francesco; da indagini e rilievi condotti sul posto, è risultato che gli intonaci ricoprono e custodiscono all’interno di alcuni locali pitture a fresco, tra cui ci potrebbe essere un’Ultima cena del Padre Felice Cignaroli, documentata nel refettorio. Oggi il convento è ridotto a quattro abitazioni private, che comprendono l’intero corpo a sud, che si sviluppa su tre piani, a partire dal seminterrato, dove si distribuiscono quattro cantine seriali, con volta a botte interamente in pietra a vista ad opus incertum, inscrivibili, ciascuna, in un cubo di cinque metri di lato. L’edificio si fonda sulla roccia sottostante, costituita da calcare nulliporico in posto a strati verticali inclinati verso nord: un sostrato tra i migliori, che garantisce stabilità alle fondazioni.

Sul convento dei Santi Fabiano e Sebastiano di Marostica non sono stati condotti studi sistematici, se non quelli svolti da Duccio Dinale, Marco Farro e Francesco Parolin dal 1985 al 1988 per la loro tesi di laurea alla Facoltà di Architettura di Venezia, da cui è tratta parte delle informazioni esposte in questo articolo. L’edificio, vincolato come bene monumentale, ha destato e desta ancor oggi molta curiosità e notevole interesse, proprio perché la sua storia è sconosciuta ai più. All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, considerate le condizioni in cui l’edificio si trovava, il Sindaco di Marostica prof. Mario Consolaro, con l’Amministrazione comunale, ne propose la vendita “… per preservarlo dal decadimento” e pubblicizzò l’iniziativa con un pieghevole patinato che divulgò in tutto il mondo, con l’obiettivo che il convento venisse recuperato per farne un centro di studi universitari, di corsi e seminari internazionali, un albergo o comunque per un “… nobile scopo …”.

L’iniziativa non ebbe esito e l’edificio, oggi abitato in parte da due sole famiglie, avanza verso un inesorabile degrado, tanto che il corpo est, di proprietà comunale, ancora integro alla fine degli anni Ottanta, sta ormai rovinando a terra e lungo il sentiero sono state poste reti di protezione dalla caduta delle pietre dalle murature. Il Comune di Marostica, proprietario, oltre che del corpo est, anche dell’orto a questo adiacente, del sedime della chiesa (sotto il quale si trova una vasca piezometrica dell’acquedotto, realizzata nel 1908), del sentiero che dal Borgo porta al convento e della comproprietà sulla corte comune, costituita dal sedime dei due chiostri e del corpo centrale, intende progettare la sistemazione dei beni di sua proprietà e, a tal fine, ha incaricato uno studio di architettura: l’obiettivo è avere a disposizione un progetto cantierabile per poter accedere a finanziamenti dedicati al recupero dei beni storici e architettonici, proponendo anche la realizzazione di un orto storico sul luogo dell’orto del convento. A tal fine, è stato finora condotto un preciso rilievo strumentale e  manuale di tutti gli spazi esterni e del corpo est, con una attenta valutazione dei degradi e dei possibili interventi di restauro. Le indagini sono state favorite dall’intervento della Compagnia delle Mura, quarantennale associazione cittadina, che ha provveduto a liberare gli spalti murari da edere e altri infestanti e che si è resa disponibile a operare periodicamente interventi di manutenzione ordinaria degli spazi scoperti del monumento, come ha finora fatto per i castelli e le mura scaligere di Marostica.

Grazie a questo intervento di pulizia, sono venuti alla luce numerosi tratti di muratura prima occultati dalla fitta vegetazione. Tra questi, spicca l’elevato muro di contenimento dell’orto, citato da un autore anonimo della storia del convento di San Sebastiano (trascritto da Gaetano Maccà in un suo manoscritto e riportato da Bortolo Brogliato in “750 anni di presenza francescana nel vicentino”, Vicenza, 1982, pg. 151): “… del 1557 et 1558 fu fatto il muro della scala longa più di 100 piedi vicentini [sentiero di accesso al convento, ndr], che conduce dal piano al cimitero del convento situato su per la collina alquanto eminente …”. Se questo progetto troverà realizzazione, consentirà finalmente di accedere ad un monumento eccezionale nel nostro territorio e, portandolo all’attenzione degli enti preposti, si spera possa costituire il primo tassello del suo recupero.

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