La “endiadi” è l’espressione di un concetto che si formula legando due parole disgiunte delle quali l’una è il completamento dell’altra. La endiadi di cui ci ha parlato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è costituita da: «Bellezza e Italia» alla cui custodia la Costituzione riserva, nella parte immodificabile iniziale, l’articolo 9. Il testo recita così: «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Questa volta il messaggio del capo dello Stato sembra avere il proposito di rivolgersi ad un gran numero di persone raggiungibili dalle pagine di uno tra i settimanali più venduti in Italia: “Vanity Fair. Il fatto assolutamente inconsueto lo rende di estremo interesse ed è assai strano che abbia attraversato buona parte della società, quasi per intero i media, l’osservatorio dei politici, senza alcun commento. Questo “reticente” silenzio oggi appare notabile quasi più degli argomenti affrontati, e rivela l’imbarazzo di quanti avevano auspicato la revisione di quell’articolo. L’irriverente indifferenza tradisce i motivi della spettrale risposta: un irrisorio e sordido impermeabile dentro cui proteggersi quando tuona Giove Pluvio. Non è solito che il Presidente si dia all’estemporanea scrittura di un elzeviro o al commento dei fatti di cronaca. Se ha sentito l’esigenza di scrivere una riflessione, vuol dire che quel tema, quel contenuto ha per la tenuta ed il rispetto dei valori costituzionali una rilevanza di estrema attualità.
Il Presidente ci mette in guardia dalle semplificazioni e dall’improvvisata equazione che solitamente lo slancio retorico porta alla formula: Italia “in quanto Bellezza”, riportandola piuttosto dentro lo spirito dei primi “immodificabili” articoli della nostra Costituzione. L’analisi discorsiva fatta non perde il senso dei principi del Diritto né disperde il cammino di una storia della sua formulazione particolarmente ricca e felice citando in Aldo Moro e Concetto Marchesi, coloro che resero possibile una stesura del testo unanimemente condivisa nel voto conclusivo. Sergio Mattarella segnala il significato pedagogico ed il ruolo della Cultura che aggiungendosi a “Bellezza e Italia” consente di rendere propositiva e operante l’azione della Tutela. Si rivolge ai giovani senza entrare nelle generiche e retoriche propaganda dei politici ma, considerandoli come individui su cui incombe il principio e l’obbligo del rinnovamento comunitario che si attua attraverso la conoscenza. Alle nuove generazioni sono infatti trasmessi i valori su cui si incardina la democrazia italiana attraverso la sua storia. Questa ricca eredità costituisce non solo la trama di una cittadinanza attiva svolta nelle varie forme della partecipazione ma è la “stessa identità italiana”. Gli “insulti al paesaggio e alla natura” sono dunque un attacco alla nostra identità.
La lezione del Presidente della Repubblica che, come tutti sappiamo, riveste il ruolo di garante della nostra Costituzione, va ancora oltre il senso di una lettura accademica. Egli dice infatti che le due componenti del testo: “cultura e tutela” sono le parti che appunto danno luogo ad una visione dinamica ed attualissima del dispositivo. Come dunque non vedere in questa spiegazione una implicita censura di quel “dibattito parlamentare” che si va determinando in una “logica divisa per settori”? Monito esplicito all’indirizzo di coloro che vedono nel testo una mera esigenza “contemplativa” e ne pretendono una riscrittura con significati contrari a quelli custoditi nell’attuale testo originale. Altroché contemplativa! Pare piuttosto una chiamata all’azione di tutela di quel volto riconoscibile della nazione e della necessità di estrarne tutte le “neoplasie” che incessantemente vi compaiono rendendola sempre più mostruosa. Tutela è dunque un processo che avviene dalle generazioni passate e che si proietta, come attività della memoria verso quelle che verranno. Noi siamo dunque transitori ed affatto centrali. Mutabilità nei processi di pianificazione non vuol dire certo immobilismo, che sarebbe il suo esatto contrario, ma affidarsi all’unico modo consapevole delle possibili trasformazioni.
Già negli anni novanta abbiamo subìto uno strappo alla parte modificabile, con la riforma del Titolo V della Costituzione, che attraverso l’articolo 117 ha posto nelle prerogative delle regioni italiane la “Valorizzazione dei beni culturali e ambientali” riservando allo stato la Tutela “dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. I risultati di questa apertura, come quelli che abbiamo dovuto misurare nel campo della “sanità pubblica” sono stati ampiamente disastrosi.
Oggi da alcune parti si discute di porre mano a questo articolo aggiungendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità, gli ecosistemi. Si vuole poi completare un nuovo articolo 9 ricordando che lo Stato disciplina modi e forme di tutela degli animali. Questa non è una semplice modifica ma una vera manipolazione proprio di quella endiadi posta al superiore gradino del corpo costituzionale. Questi valori, secondo diverse pronunce della sua corte, già sono contenuti nell’attuale Costituzione. Senza troppe circonlocuzioni la questione oggi agli atti della cronaca è la introduzione dei principi della “sostenibilità” come strategia protettiva dell’ambiente, mediante la trasformazione delle fonti di produzioni energetica. Non si può negare l’evidenza del cambiamento climatico e per esso oltre ad attendere che l’umanità intera condivida strategie efficaci senza le quali è velleitaria e “contemplativa” ogni pretesa, anche nel nostro giardino potremmo adottare misure conservative. L’equiparazione ambiente ed ecosistema al Paesaggio finisce però per stravolgere, come appunto dimostra il capo dello Stato, il senso di quella esclusiva correlazione progressiva tra Tutela e Cultura. Accredita infatti l’aggressivo processo di modifica – contrario a questa tutela del paesaggio – della “transizione ecologica” come superamento del valore identitario richiamato da Sergio Mattarella nella sua endiadi.