Italia Nostra

Data: 3 Maggio 2022

Più che sindrome Nimby sembra sindrome Far West

Leggendo i giornali in questi giorni non può sfuggire che, ovunque sul territorio italiano, le Amministrazioni Locali, spesso impreparate, sono state investite dalle problematiche sollevate dalla rapida e significativa introduzione sui loro territori di grandi impianti di FER, principalmente eolico e fotovoltaico a terra. La transizione ecologica, infatti, avrà un fortissimo impatto sui territori perché, per ridurre anche solo di pochi punti percentuali la nostra dipendenza dal petrolio, viste le ridotte capacità energetiche delle FER, lo spazio necessario da dedicare a questi impianti sarà necessariamente notevole. Questo significa che, per esempio, per produrre la stessa energia di una centrale termoelettrica abbiamo bisogno di kmq di pannelli solari. 

Non si può quindi pensare di promuovere le FER senza un piano preciso di dove e come installarle, altrimenti rischiamo di devastare il paesaggio, impattare negativamente sul turismo, consumare suolo e ridurre la nostra autonomia alimentare. 

Tale necessità è già prevista dall’articolo 36 della Direttiva RED II che fissa al 30 giugno 2021 il termine entro cui gli Stati membri dovevano individuare le aree idonee e non idonee per le FER. Il decreto di recepimento della direttiva sposta al 15 giugno 2022 il termine per l’emanazione delle linee guida ministeriali e al 15 dicembre 2022 quello di individuazione da parte delle Regioni delle medesime aree, nonostante questi ritardi abbiano determinato l’apertura di una procedura di infrazione contro il nostro Paese. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’articolo 15 della Direttiva 2014/89/UE che fissa al 18 settembre 2016 il termine massimo per il suo recepimento e al 31 marzo 2021 il termine per adottare i Piani di gestione dello spazio marittimo, anche ai fine della installazione degli impianti eolici offshore. 

L’assenza di principi e criteri crea confusione per le imprese del settore e gli Enti Locali e comporta il rischio concreto che lo sviluppo delle rinnovabili possa realizzarsi in un contesto di mancata regolamentazione e sviluppo speculativo. È indubbio che velocizzare la realizzazione degli impianti, evitando però i rischi per l’ambiente e il paesaggio, sia una priorità per il Paese. Non c’è però bisogno di smontare le tutele paesaggistiche che fanno capo alle Soprintendenze, erroneamente messe sotto accusa e minate dai vari decreti “semplificazioni”. Una corretta pianificazione potrebbe evitare la pletora di progetti in aree di pregio paesaggistico che attualmente intasano la Commissione di VIA e vengono bocciati dagli organi del Ministero della Cultura, solo per poi venire ripescati dal Consiglio di Ministri, su sollecitazione del Ministero della Transizione ecologica, con un cortocircuito istituzionale dannoso e costoso. Si assiste ormai da mesi a organi dello Stato che si contraddicono su progetti calati dall’alto e imposti d’imperio ai territori e a estenuanti ricorsi ai TAR da parte delle AALL.

La vicenda dell’impianto eolico a Nulvi e Ploaghe in Sardegna, territorio che ospita la Basilica della SS. Trinità di Saccargia e la Valle dei Nuraghi, è emblematica. Già esisteva qui un impianto eolico di 51 turbine alte 76 metri. ERG ne ha recentemente proposto il repowering con la sostituzione delle vecchie turbine con 27 nuove torri alte 180 metri (visibili a grandi distanze) e, nonostante il parere negativo di Regione, Soprintendenza, Ministero della Cultura e anche Tar Sardegna, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto necessario approvare il progetto. E se il paesaggio che circonda la Basilica e i Nuraghi si salverà, sarà solo perché il Consiglio di Stato ha sentenziato in questi giorni che, sul proprio territorio, la Regione Autonoma della Sardegna ha “competenza legislativa primaria, statutariamente prevista, in tema di tutela paesistico-ambientale”.

Altro esempio è il caso del triangolo Montalto di Castro, Tarquinia e Tuscania, dove l’esistenza dell’alta tensione che un tempo serviva la Centrale Termoelettrica “Alessandro Volta” dell’ENEL, attualmente chiusa, ha determinato un vero e proprio assalto al territorio da parte delle imprese eoliche e fotovoltaiche. A Montalto di Castro si trova la seconda più grande centrale fotovoltaica d’Italia, con una potenza complessiva 85 MWp, per un’estensione di 283 ettari (tutto il Principato di Monaco ha un’estensione di circa 200 ettari), finanziato da un consorzio di banche internazionali e italiane. In mancanza di una regolamentazione, pare che il vantaggio d’impresa sia l’unico criterio per determinare il destino di un territorio. Il rischio è che la Tuscia, che ha una marcata vocazione turistica, diventi una piattaforma di estrazione energetica e sacrifichi al profitto di grandi investitori stranieri, oltre al proprio Patrimonio culturale (basti pensare alle tante necropoli etrusche), anche la propria filiera agroalimentare.

ITALIA NOSTRA

L’articolo è uscito oggi su Fatto Quotidiano Extra. Per il link: cliccare qui

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