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Data: 7 Maggio 2024

Quale tipo di turismo vogliamo. Francesco Miragliuolo

turismo Napoli, foto Marco Gemignani

Ogni anno, Napoli è visitata da quasi 4 milioni di turisti, persone che affollano le strade, i musei e i quartieri della nostra meravigliosa città, alimentando l’univoca retorica sulla bellezza e la giustezza del turismo di massa.

Tuttavia, come dice il detto, “non è tutto oro ciò che luccica”, e questa volta sembra calzare a pennello. Mentre i ricchi proprietari aumentano i loro guadagni e i nostri amministratori proseguono nei loro toni trionfalistici, la capitale del Mezzogiorno si sta spopolando anche a causa dell’overtourism.

Secondo la Rete SET, solo nel 2020, 5.000 appartamenti sarebbero usciti dal mercato degli affitti per essere trasformati in B&B. Secondo i dati della Prefettura di Napoli, nel 2022, ci sarebbero stati circa 10.000 sfratti esecutivi, di cui la maggior parte dovuti a contratti scaduti, non rinnovati per trasformare gli appartamenti in strutture ricettive.

Inoltre, va notato che negli ultimi cinque anni c’è stato un aumento del 553% degli alloggi disponibili su Airbnb, la maggior parte di questi si trova nel centro storico, una meta pregiata per tanti turisti che sognano di conoscere Napoli vivendola attraverso lo sguardo di chi la città la vive. 

Ma qualcuno di noi si è mai chiesto quali siano le conseguenze del turismo di massa?

Uno dei principali problemi derivante da questo fenomeno è la concentrazione delle rendita, che fai sì che i ricchi possano acquistare dei “pezzi” di città. Ciò comporta un aumento dei prezzi immobiliari in quei quartieri e l’espulsione degli abitanti originari, con conseguente perdita di identità culturale. Musei e monumenti, vengono trasformati in attrazioni turistiche, causando un aumento dei prezzi d’ingresso e l’introduzione del biglietto di ingresso, com’è stato per il Cimitero delle fontanella. Di conseguenza, le classi sociali meno abbienti vengono escluse dall’accesso ad  alcuni beni culturali, compromettendo il concetto stesso di “bene comune” e la fruizione dei diritti fondamentali, come quello alla cultura. Venezia è l’esempio lampante. 

Gli abitanti di questi quartieri-attrazione vengono ghettizzati, poiché spesso le loro condizioni economiche li costringono ad andare a vivere in zone prive dei servizi essenziali, ad alto rischio di criminalità, e dove gli investimenti sono limitati, poiché la priorità è l’incremento del turismo che genera ma non redistribuisce la ricchezza. 

Il turismo è per chi può permetterselo, non per i giovani sottopagati o per le persone con un lavoro precario. Il turismo è per i rentiers, ovvero i ricchi, coloro che “vivono di rendita”.

Ovviamente, la scelta di trasformare la propria abitazione in un B&B è motivata principalmente da ragioni economiche: l’aliquota per un B&B è del 21%, rispetto a quella dell’imposta sul reddito da locazione, che può variare dal 23% al 43%. Ciò avviene anche perché spesso non si conosce il contratto a canone concordato che abbatterebbe l’aliquota al 10%.

Questo comporta danni ambientali e sociali, alimentando la competizione tra le diverse città costrette ormai a fare marketing per promuovere il proprio prodotto. Queste politiche danneggiano anche gli studenti fuori sede, che spesso non riescono a trovare alloggio e sono costretti a pagare cifre esorbitanti per un letto, spesso senza contratto. Di conseguenza, devono dipendere dalla borsa di studio destinata ai pendolari, subendo una perdita netta di 3.181,51 euro dal contributo annuale (il contributo economico per i fuori sede è pari a 7.655,00 euro).

I commercianti, soprattutto quelli diurni, subiscono ulteriori danni a causa della “riorganizzazione turistica”. Sono costretti a reinventarsi, investendo denaro e talvolta sono costretti a chiudere. 

Se è vero che il turismo per Napoli e per i napoletani ha rappresentato un riscatto sociale rispetto alla narrazione della “città di Gomorra”, dall’altro sta aggravando la crisi sociale, generando una vera e propria espulsione degli abitanti dal centro storico, costretti ad emigrare altrove. Il Comune, in assenza di una normativa nazionale in grado di fornire risposte uniformi su tutto il territorio nazionale, e considerando il fallimento del tanto osannato “modello Firenze”, dovrebbe adottare delle delibere costituzionalmente orientate in linea con le misure adottate da città come Berlino, Madrid, Parigi e Barcellona, che hanno limitato le licenze per Airbnb, evitando di cadere nell’inganno del marketing empatico della piattaforma ricettiva più rappresentativa. Questo significherebbe riappropriarsi del proprio ruolo di rappresentanti dei bisogni degli abitanti, di decisori delle politiche pubbliche, facendo in modo che non siano più le grandi multinazionali private a dettare l’agenda politica. Il limite del lavoro dell’ex Ministro Dario Franceschini è stato quello di cedere alla massimizzazione dei profitti nel settore turistico, trasformando la cultura da bene a risorsa. La differenza risiede nel fatto che la risorsa genera ricchezza, mentre il bene è la ricchezza stessa.

Servono politiche orientate alla tutela ambientale, sociale e culturale dei centri storici, evitando che i siti UNESCO diventino marchi piuttosto che strumenti per la salvaguardia di beni e/o aree. Bisogna sviluppare modelli di turismo sostenibile che concilino i bisogni delle comunità locali e dei turisti, promuovendo una forte cooperazione istituzionale tra enti locali, governo e aziende turistiche. È necessario preservare la cultura e l’identità locale; altrimenti, Napoli, che rappresenta un grande bene comune, non sarà più accessibile per una parte significativa della popolazione napoletana.

Francesco Miragliuolo

Responsabile Comunicazione Italia Nostra Napoli

*l’articolo è stato pubblicato oggi 7 maggio 2024 sulle pagine di Napoli de “La Repubblica”

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