di Cristiano Gasparetto
SI Tav, NO Tav: tutti i media riferiscono, valutano, giudicano una situazione che rischia di diventare sempre più ideologica e astratta.
Per un’infrastruttura così importante per l’intero Paese e per i suoi costi ed impatti, diviene più che mai necessario valutarne invece il merito reale. Nel territorio veneto-triestino, può aiutare la sua breve ma significativa storia con una premessa che permetta a tutti di valutare meglio di cosa si parla.
I treni AV (Alta Velocità) sono vettori per trasporto di solo passeggeri che abbisognano di una linea interamente nuova con modificate caratteristiche geometriche dei binari, una diversa e molto più potente alimentazione elettrica e che hanno costi manutentori e di ammortamento tripli di quelli per treni convenzionali. Un investimento enorme quindi che per diventare conveniente deve avere garantiti 30-50.000 passeggeri al giorno, fare poche fermate, viaggiare possibilmente in piano e collegare città con più milioni di abitanti, distanti sui 300-500 chilometri. E’ per questi motivi che il Tav è stato sviluppato in Francia, Germania e Paesi Bassi e non in Inghilterra, Svezia e Svizzera. In Italia, quando si è cominciato ad ammodernare le linee ferroviarie (in grave ritardo per non confliggere con la motorizzazione targata Fiat) è stata privilegiata la tecnica cosiddetta ad assetto variabile – i pendolini che raggiungevano già i 200 km/ora – che, pur diminuendo del 30% i tempi di percorrenza, non necessitavano di linee nuove. Quando attorno a metà anni 90 si comincia a parlare di Alta Velocità si è prospetta di fatto un’operazione di 100 mila miliardi, pubblici per il 40% e privati per il 60%. L’interesse privato è stato subito alto ma nessuno era disponibile a rischiare nella neonata TAV spa con un capitale di appena 140 miliardi… (leggi tutto il dossier)