Italia Nostra presenta “ROVINE”, diretto da Matteo Anastasi – narrato da Antonio Cederna
Documentario al contempo storico e civile, di ricerca e di denuncia militante insieme, un montaggio di materiale filmico e sonoro d’archivio, realizzato in occasione dell’Assemblea Cittadina sull’Area Archeologica Centrale di Roma presso la sede nazionale di Italia Nostra, il 10 maggio 2018.
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https://www.youtube.com/watch?v=hKsoC-emUkk&t=284s
Questa è la storia dell’Area Archeologica Centrale in età moderna, dall’Ottocento risorgimentale ai nostri giorni: dall’Unità d’Italia, con la proclamazione di Roma Capitale, agli interventi urbanistici del Novecento, come la Passeggiata Archeologica inaugurata dal sindaco Ernesto Nathan in età giolittiana e la Via dell’Impero, sorta dalle macerie degli sventramenti del rinascimentale quartiere Alessandrino ad opera del regime fascista a cavallo tra le due guerre; dalla stagione delle giunte rosse di Argan e Petroselli, animata dall’alto e ardente dibattito sul “Progetto Fori”, da vaste campagne di scavo archeologico, smantellamenti stradali e importanti pedonalizzazioni, sino agli “sventramenti” del Nuovo Millennio per il cantiere decennale della Metro C e all’immobilismo desolante di questi ultimi anni di incuria, imbarbarimento, oblio.
I ruderi romani dell’antichità diventano quinta scenografica delle rovine della contemporaneità, sfondo delle miserie dell’oggi; testimoni muti di una nuova invasione barbarica, assediati come sono dal brulichio vorace e formicolante di un turismo di massa consumista e di un commercio pervasivo e tumorale di bassa lega; cornice umiliata e logora di un processo forse irrimediabile di gentrificazione e decadenza.
Urge dunque, almeno, una ri-costruzione cinegrafica di quella battaglia politica, culturale e civile, nata nel secondo dopoguerra ed esplosa sul finire degli anni ’70, per la nascita, nel cuore di Roma, del parco monumentale e ambientale unitario dei Fori Romani e dell’Appia Antica; progetto che affonda le sue radici già nei primi piani regolatori di età napoleonica e nel piano di sistemazione della zona compresa tra Celio, Palatino, Circo Massimo e Terme di Caracalla voluta dalla Commissione Reale del 1887, composta, tra gli altri, da Guido Baccelli, Ruggero Bonghi e Rodolfo Lanciani.
Sgorga così un flusso intermediale di eventi proteiformi, audiovisivi, figurativi e topografici, diretto dalla viva voce di Antonio Cederna (il più strenuo e indefesso sostenitore dello smantellamento del tracciato di via dei Fori Imperiali) e attraversato dai riverberi e dagli echi fantasmatici degli altri protagonisti di questa vera e propria epopea del Moderno e del Pensiero Forte come Italo Insolera, Leonardo Benevolo, Renato Nicolini, Luigi Petroselli e Carlo Ripa di Meana. Grazie ad essi rivive sullo schermo un’epoca unica e irripetibile di grande idealità e tensione progettuale, nella quale si sognava di riparare agli errori compiuti nel Ventennio a colpi di piccone, tra demolizioni a tappeto e autostrade urbane, riportando in luce l’antico contesto archeologico finalmente riunificato, con un programma urbanistico insuperato per ambizione e lungimiranza, sul quale è oramai calato il silenzio.
Una polifonia di voci estinte, riportate in vita grazie alla cinematografia, che cantano sogni di ieri, perduti e dimenticati: voci ora sommerse da un’ignoranza immemore, ora soffocate da indifferenza istituzionale e negligenza amministrativa, ora strozzate dalla assordante marcia trionfale dell’incedere delle trivelle che orchestrano l’incubo di un cantiere eterno e devastante, unica opera “monumentale” legittimata a turbare l’odierno clima di inerte torpore, mancanza di volontà politica e totale assenza di visione ideale.
Un’audiovideografia che si fa essa stessa tecnica di scavo, metodologia e dispositivo di riesumazione, archeologia visuale per il disseppellimento di reperti mediali del passato che tornano alla luce e possono reimporsi allo sguardo. Un videomosaico intarsiato di poliformi immagini in movimento che si incastonano come perle pescate dal tempo, che riaffiorano, si compenetrano e si rifrangono tra di esse come segni, tracce, frammenti, sedimentazioni, conflitti formali e dinamici, che si disvelano, scorrono e si intrecciano nella trama di un piccolo arazzo cinegenico ordito dalla tessitura del montaggio, filo su filo. Anzi: pietra su pietra, costruendosi come un’architettura auto-narrantesi in divenire, processuale e stratigrafica.
Perché le pietre sono il tempo.