Italia Nostra

Data: 16 Aprile 2018

Santo Spirito e gli altri eremi della Majella nel comune di Roccamorice

L’Abruzzo conserva un sorprendente numero di eremi scavati con perizia e determinazione da un gruppo di anacoreti che nel corso dei secoli hanno deciso di fuggire le pazze folle alla ricerca del silenzio in una natura estrema e incontaminata.

Nel 2006 Italia Nostra Abruzzo ha iniziato a interessarsi all’eremo di Santo Spirito per preservare l’edificio da un intervento di ristrutturazione che intendeva sventrarlo per farne un albergo per i pellegrini. Il passo successivo ha portato al progetto di recupero e all’attuale gestione della struttura da parte della cooperativa Riparossa, che rende possibile la visita ai turisti italiani e stranieri che, sfidando l’isolamento, si avventurano sino al romitorio. Il progetto di Italia Nostra, condiviso con i Comuni della Maiella, intende valorizzare tutti gli eremi edificati da Celestino V nel territorio, vera anima spirituale della Maiella. Il Comune di Roccamorice e Italia Nostra si sono accordati per definire una modalità di gestione che possa permettere un uso qualificato e continuativo dei suoi spazi, coerentemente con lo spirito dei luoghi, che potrebbe facilitare la tutela di questo gioiello, sito nel Parco della Majella, e rendere possibile quell’attivazione dei cittadini che è alla base della conservazione dei beni comuni.

Eremo legato alla figura di Pietro da Morrone (certamente più noto come Papa Celestino V, fondatore dell’ordine dei Celestini). Si trova nel comune di Roccamorice (a circa 10 km dal centro urbano, a 1132 m. di altezza. Negli ultimi chilometri una piccola strada tra i boschi costeggia il Vallone Santo Spirito, fino all’eremo. Nessun intervento dell’uomo è visibile. L’aspra bellezza dei paesaggi unita all’apparizione dell’eremo, che in effetti è un sistema di grotte ricavate su più livelli sulle rocce della Maiella, regalano la sensazione di un tuffo nell’alto medioevo. Il silenzio e l’isolamento fanno il resto insieme alla straordinaria armonia che fonde l’architettura in pietra e natura. Non deve quindi meravigliare che lo scrittore americano James Redfield ammise alcuni anni fa che per il suo romanzo “La profezia di Celestino” (1993) – un best seller con oltre dieci milioni di copie vendute in tutto il mondo – si ispirò liberamente alla vita del papa eremita e ai luoghi in cui visse.

LA STORIA

Le prime grotte furono abitate da eremiti circa tre secoli prima dell’arrivo di Pietro da Morrone, intorno all’anno 1250. In quel periodo nasce il percorso aggregativo che porterà Urbano IV il primo giugno 1263 ad accogliere la richiesta di riconoscimento della congregazione dei Fratelli di Santo Spirito. La congregazione assumerà a riferimento la Regola di San Benedetto, alla quale saranno aggiunti ulteriori capitoli. L’eremo si estese per far posto ad altri confratelli. Prima del papa eremita visse nell’eremo il monaco Desiderio (nel 1053), poi divenuto papa con il nome di Vittore III. Nel 1347 trovò per qualche tempo rifugio nel monastero Cola di Rienzo, fuggito da Roma. Una storia misteriosa è quella del principe Caracciolo di San Buono che alla fine del XVII secolo realizzò una costruzione a tre piani (il Palazzo del Principe), perfettamente integrata con il monastero. Per scongiurare la soppressione dell’ordine Pietro da Morrone nel 1274 partì a piedi da Roccamorice, accompagnato da due confratelli, verso Lione, in Francia, dove si celebrava il concilio indetto da papa Gregorio X, il quale intendeva procedere alla riduzione degli ordini religiosi. Pietro da Morrone riuscì a salvare il suo ordine. È fondata l’ipotesi che la sua figura spirituale influenzò non poco i cavalieri templari, con riflessi che solo recentemente iniziano ad essere studiati. Nel 1293 Pietro lasciò l’eremo per la Badia Morronese, nei pressi di Sulmona, per fronteggiare le accresciute esigenze dell’Ordine di ispirazione benedettina. La costruzione dell’imponente Badia avvenne negli anni precedenti sicuramente con il sostegno templare. Dopo la morte del papa eremita (1296) l’eremo ebbe alterne vicende. Il periodo più critico fu quello successivo alla soppressione dell’ordine (1807) che determinò l’abbandono dell’antico monastero, con spoliazioni e danneggiamenti. Lasciarono Santo Spirito anche i resti mortali di Santo Stefano del Lupo, monaco benedettino vissuto sulla Maiella un secolo prima di Celestino.

L’EDIFICIO

Solo chi conosce bene la valle riesce ad intravedere a distanza la copertura di questo eremo. La parte bassa è costituita dalla chiesa, sagrestia ed abitazioni a due piani. Inferiormente vi è un piano formato da cinque piccoli vani scavati nella roccia, nucleo eremitico originario. Questa sezione è l’unica abitabile e si accosta alla parete rocciosa formando un corridoio lungo 90 m fino all’inizio della scala santa. La chiesa possiede un portico con colonne di ordine toscano semplice. Il portale di legno e la statua policroma di S. M. Arcangelo sono opera di Giuseppe di Bartolomeo di Roccamorice nel 1894, mentre la parte presbiteriale della chiesa con archi a sesto acuto e costoloni è la parte più antica. In origine vi erano due lapidi che ricordavano una la visione avuta da San Pietro Celestino il 29 Agosto 1248 (sulla dedicazione della chiesa) e l’altra la perdonanza elargita da Benedetto XIV. Sotto la chiesa troviamo l’eremo vero e proprio dove vi è presente la stanza del Crocefisso nella quale pregava Pietro da Morrone. Dalla visione dell’intorno si evince che la costruzione arrivava fino al piano terzo e si incontrano cisterne per captare le acque a monte e le piovane. Una statua di S. Antonio Abate scolpita nella roccia rappresenta una particolarità. E’ l’eremo più ricco di storia e tradizioni della Majella ed ha subito moltissime trasformazioni negli ultimi mille anni. La prima presenza nota fu quella di Papa Vittore III nel 1053.

L’antico codice che apparteneva al monastero di San Salvatore a Majella definiva in maniera chiara la destinazione eremitica della montagna già dai secoli precedenti l’anno Mille. Nella metà del XI secolo il Papa Vittore III dimorò con gli eremiti della Majella diversi mesi. Quando Pietro da Morrone giunse nel territorio non costruì nuovi beni ma ricostruì quelli abbandonati, ridotti in rovina. Il massiccio per la sua conformazione piena di valloni garantiva di rimanere nascosti senza essere isolati, continuando a mantenere una vita in comunione con la comunità monastica. Numerose in tale luogo furono le ondate di monaci meridionali.

LA VISITA

La cooperativa Ripa Rossa si occupa di servizi turistici nel territorio del Parco Nazionale della Majella. Nello specifico cura le attività di gestione dei beni storico-artistici. Dal luglio del 2015, per conto dell’Associazione Nazionale Italia Nostra, conduce l’Eremo/Abbazia di Santo Spirito e dal maggio  2016 coordina le visite guidate di San Bartolomeo in Legio e gestisce la Grangia di San Giorgio nel territorio di Roccamorice.

Per gli orari di apertura e visita https://www.italianostra.org/apertura-della-stagione-2018-delleremoabbazia-di-santo-spirito-a-majella/

GLI ALTRI EREMI DELLA MAJELLA NEL COMUNE DI ROCCAMORICE

La Cooperativa gestisce anche le visite ad altri due eremi nel Comune di Roccamorice, piccolo centro  all’interno del Parco Nazionale della Majella e della Comunità Montana Majella e Morrone.  Il territorio si allunga sul versante settentrionale del massiccio della Majella, in una zona prevalentemente montuosa ed accidentata, con pendenze talvolta superiori al 100%, solcata da profondi valloni con direzione dominante Sud-Est, Nord-Ovest, un  conformazione che ha favorito l’insediamento eremitico.

GRANGIA DI SAN GIORGIO

Per raggiungerlo si deve seguire la segnaletica che porta al Piano delle Castagne per proseguire verso la Grangia in prossimità della contrada di costa del Colle. Il sentiero presente è molto comodo e largo con un dislivello di soli 60 m. La grangia è circondata da boschi e campi di ulivo. Tra la vegetazione spiccano i tralicci di sostegno della vecchia teleferica che trasportava a valle le pietre ricche di bitume delle miniere che sorgevano in quest’area. È incerta la data di costruzione, ma certamente fu una struttura di pertinenza dell’Eremo di Santo Spirito a Majella e risulta tra le proprietà degli stessi monaci celestiniani nel XIII secolo. Ospitò una piccola comunità, ma svolse soprattutto la funzione di grangia, ossia di azienda produttiva agricola, al servizio dell’ordine celestiniano. Per una dozzina di anni fu dimora del Beato Roberto da Salle, uno dei discepoli prediletti di Pietro da Morrone, che fu in seguito eletto priore di Santo Spirito a Majella. Il complesso, in pietra bianca della Majella, è costituito da vari locali: una piccola chiesa, stanze abitabili, magazzini e stalle. Il piccolo cenobio acquisì notevole importanza in seguito a numerose donazioni. Nel XVI secolo aveva ancora il suo priore, ma non si conosce con esattezza la data del suo abbandono. Il bell’altare in pietra non custodisce più la statua di San Giorgio che uccide il drago, purtroppo rubata, che sopravvive ancora nel ricordo degli anziani del paese.

Anticamente il luogo era raggiungibile a piedi dai monaci anche da Lettomaloppello. La bolla di conferma della costruzione del monastero risale al 21 Marzo 1274 a firma di Gregorio X, in essa appariva sotto il nome di S. Georgii de Piscaria. Dalla lettura del libro di Ugo Pietrantonio “Il Monachesimo Benedettino nell’Abruzzo e nel Molise” si evince che il Monastero è ubicato a Roccamorice “nel versante di Pacentro proprio sotto S.Spirito a Majella”, lo stesso Pietrantonio cita anche una Bolla del 22.3.1275 di Gregorio X ,nella quale il Monastero appare dipendente da Santo Spirito a Majella e un’altra Bolla del 27.9.1294 dell’Ordine Celestino ,che lo elenca tra i propri possedimenti.

BARTOLOMEO IN LEGIO

L’eremo di S. Bartolomeo in Legio si erge a 6000 metri di quota nei pressi del Vallone San Bartolomeo nelle vicinanze di Roccamorice. Fu costruito da Pietro da Morrone nel XIII secolo, ricostruìto nel 1250. Per raggiungerlo bisogna percorrere partire dal bivio per S. Spirito e prendere un sentiero che parte da case e da un complesso di capanne pastorali. Il percorso si arriva sul ciglio del vallone, sotto cui si scorge un nuovo sentiero e croci in ferro. Seguendo le croci in venti minuti si arriva presso l’Eremo risalendo la valle. Lo sviluppo dell’eremo avviene sotto una roccia di 50 metri, forata parzialmente. Ha una grande balconata coperta con accesso tramite quattro scalinate (due all’estremità e due al centro). Superato il tunnel di ingresso vi è la grande balconata dove si trova addossata alla parete una vasca per la raccolta delle acque di scolo. Al centro della balconata vi sono due scalinate, al termine del primo tratto si trova l’accesso alla Scala Santa percorsa solo in salita, in ginocchio e pregando. Sul fronte sinistro tracce di un affresco e ai lati due quadri raffiguranti Cristo e una Madonna con Bambino, quest’ultimi sono deturpati dal tempo e da scritte ed incisioni. La chiesa è lunga 770 m con l’altare con una nicchia dove è riposto il Santo. A metà della parete sinistra vi è la particolarità maggiore: una risorgenza d’acqua sotto un masso squadrato e cavo che tramite un canaletto scorre fuori la chiesa.

L’iconografia più vista del Santo lo raffigura con libro e coltello rifacendosi alla tradizione che lo vuole martire in Oriente scorticato vivo. Dal XVI secolo alcune rappresentazioni forniscono un’altra versione della morte, ovvero per decapitazione. Nel XVI Michelangelo lo rappresenta nella Cappella Sistina con la propria pelle sul braccio e continua a permanere tale iconografia. La statua in legno ha la pella (che sembra una fune) sulla spalla sinistra e la testa che penzola attaccata ad essa e si riuniscono le due versioni della morte. Si festeggia il 25 Agosto, tale mattina la statua del santo veniva portata in braccio da una sola persona a turno.

 

Testi tratti dal sito eremidellamajella.it, a loro volta basati su informazioni tratte dal libro “Eremi e luoghi di culto rupestri d’Abruzzo” di Edoardo Micati, Carsa Edizioni, 1996

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