Italia Nostra

Data: 9 Luglio 2021

Le rinnovabili tra mito e realtà – Carlo Alberto Pinelli

Eolico by Cristiano Firmani

 

 

 

IL TOTEM E IL DOGMA

E’ un antico e radicato difetto dei nostri simili quello di confondere e sovrapporre i concetti di bello e di buono. Quasi che l’uno trascini automaticamente dietro di sé il secondo. O viceversa. In questo equivoco cadono anche a mio parere gli amici di Legambiente e di Greenpeace quando, in mancanza di argomenti più stringenti, sostengono che le pale eoliche abbelliscono i paesaggi identitari sui quali troneggiano, arricchendoli di un tocco di modernità.  Entrambe queste associazioni hanno trasformato le gigantesche torri degli aerogeneratori in un feticcio: l’icona indiscutibile della salvezza del Pianeta. Di conseguenza quelle torri gigantesche devono per interna coerenza essere anche belle. Il presidente di Legambiente è giunto a sostenere che le torri eoliche sono le cattedrali dell’epoca presente. Se evito di liquidare con una risata questa azzardato parallelo è perché, seppure inconsapevolmente, il signor Ciafani ha detto una cosa vera. Le cattedrali del medioevo e del rinascimento calamitavano le speranze salvifiche, la tensione verso il sacro, i bisogni di sicurezza e assoluzione dell’umanità, canalizzadoli entro ben delimitati percorsi emotivi e istituzionali. Rappresentavano insomma autorevoli e autoritari simboli visibili dell’invisibile. Nel corso dei secoli il loro ruolo culturale, sociale e politico è stato ovviamente importantissimo; non sarò certo io a metterlo in dubbio! Ma il loro messaggio sfugge alla lente fredda della scienza. Ho l’impressione che manchino a tutt’oggi prove scientifiche dell’esistenza del Paradiso di cui le cattedrali si offrono come un riflesso terreno. Il tentativo che le lobbies delle rinnovabili stanno perseguendo, favorite dall’equivoco “religioso” che acceca tanta parte dell’arcipelago ambientalista, mi sembra sia tristemente analogo: garantisco facili paradisi, fuori dagli steccati dell’ analisi scientifica. Le pale eoliche vengono proposte e imposte all’immaginazione delle masse come un rassicurante rifugio capace di assolvere tutti dai peccati della bulimia consumistica. Con quali prove?

L’EQUIVOCO TRA IL BELLO E IL BUONO

Se il ragionamento di Legambiente e dei suoi accoliti  non dipendesse dall’ equivoco tra il bello e il buono sarebbe un tantino difficile comprendere per quale ragione questa associazione abbia lottato, anche in tempi non troppo lontani, contro lo stravolgimento dei paesaggi delle coste italiane, dovuto alla speculazione illegale delle seconde case e a quelle superfetazioni edilizie che allora essa stessa definiva come eco-mostri. Stravolgimento dal quale i paesaggi rivieraschi (o, se per questo, anche quelli montani) avrebbero dovuto invece essere “arricchiti” grazie a un’ analoga pennellata di modernità. Mi piacerebbe sapere perché noi, che venivamo considerati come preziosi alleati nella difesa dello skyline dolomitico, oggi siamo stati trasformati nei portatori di una visione del paesaggio naturale e storico viziata dal lezzo di una retrograda e morbida nostalgia. 

LA BEFANA NON ESISTE

Se vogliamo ridimensionare laicamente il dogma salvifico delle rinnovabili, incluso l’ingenuo ma pericoloso assioma che il buono è anche bello, dobbiamo cominciare a interrogarci sulla validità del primo dei due termini. Le pale eoliche sul territorio italiano sono davvero “buone”? Cioè rappresentano un’ efficace e definitiva soluzione per contrastare il riscaldamento globale, dovuto alle emissioni di CO2? Chi lo sostiene, contro l’evidenza, in realtà vuole solo assolversi dicendo, quando si infila nel letto la sera, di aver fatto il possibile per fuggire dalla trappola che la specie umana si è costruita attraverso l’illusione dello sviluppo infinito. E contemporaneamente crogiolarsi nella piacevole sensazione di aver offerto un buon esempio, indicando un percorso virtuoso al resto delle nazioni mondiali.  In altre parole cerca di garantirsi la coscienza a posto prima di addormentarsi, sperando di trovare la calza della Befana straripante di aria pulita, di ghiacciai in avanzata e di comportamenti virtuosi la mattina successiva. Bene. La notizia che purtroppo dobbiamo dare a costoro è che la Befana non esiste e che il ricorso alle pale eoliche in Europa, per quanto invasivo possa essere, non sposterà nemmeno di un centimetro i termini del drammatico problema dell’effetto serra mondiale. Per sostenere questa scandalosa eresia, degna del rogo al Campo dei Fiori, mi vengono in soccorso alcune cifre oggettive.  L’Europa è responsabile soltanto di un nove per cento delle emissioni mondiali di CO2. L’Italia contribuisce al totale planetario per uno striminzito 0,8 per cento. Se qui da noi si riuscisse a eliminare totalmente l’utilizzazione dei combustibili fossili ( cosa quasi impossibile) la differenza a livello planetario sarebbe del tutto insignificante. Inoltre le giuste aspirazioni a migliori livelli di benessere materiale di tante popolazioni del cosiddetto terzo mondo, provocano un continuo aumento delle emissioni inquinanti e tendono a vanificare in partenza gli eventuali sforzi europei per mitigare l’effetto serra. 

INFANTILI NARRAZIONI

Si potrebbe anche tacere, lasciando che i chierichetti delle FER continuino a cullarsi nelle loro infantili narrazioni ( dietro alle quali si agitano le ombre inquietanti di tanti avvoltoi). Ma come si può farlo quando quelle illusorie narrazioni hanno effetti tutt’altro che innocui e stanno causando per certo la più drammatica alterazione dei paesaggi mai subita dal nostro paese nella sua storia millenaria? 

Sto esagerando? Il prof. Mark Jacobson della Stanford University,  riconosciuto esperto mondiale di energie rinnovabili, ha dichiarato un anno fa che l’Italia, per raggiungere il 20% di energia elettrica da fonti eoliche, dovrà adattarsi a riempire di aerogeneratori ( alti più di 200 metri), una superficie pari all’intera regione Friuli Venezia Giulia. Per immaginarsi l’effetto finale basta snocciolare queste decine di migliaia di “eco mostri” lungo tutto l’arco delle elevazioni appenniniche. Non troveremmo più un paesaggio privo di quella soffocante muraglia rotante, spacciata, con una non lieve mancanza di pudore, come un’ allegra “pennellata” di modernità.  Ne vale la pena?

QUALITA’ E QUANTITA’

Non mi scandalizza pensare che qualcuno possa giudicare un singolo aerogeneratore un interessante esempio di design industriale. Magari anche due. O addirittura tre, in prospettiva. Ma qui stiamo parlando di migliaia e migliaia di manufatti identici e identicamente assertivi. Di fronte a una simile quantità trovo che abbia poco senso discettare sulla qualità estetica. Anche la più sublime opera d’arte se fosse ripetuta per un numero quasi infinito di volte si trasformerebbe in un’omologazione inaccettabile, a senso unico, degli ambienti che invaderebbe. Oso dire che l’effetto devastante sarebbe lo stesso se tutte le linee di cresta appenniniche fossero state modificate in passato da innumerevoli copie del duomo di Orvieto o della Torre di Pisa. Senza contare che queste due opere architettoniche sono alte neppure un terzo dei moderni aerogeneratori. E di conseguenza sarebbero meno visibili a distanza. Nessuno di noi immagina il paesaggio come un qualcosa di mummificato: fin dal neolitico gli esseri umani hanno iniziato a modificare i luoghi in cui vivevano, abbattendo porzioni delle foreste, aprendo spazi per la coltivazione e l’allevamento, costruendo villaggi. L’antropizzazione progressiva degli ambienti naturali – proseguita fino a oggi – spesso ha inciso negativamente sulla bellezza originaria dei luoghi: ma aveva alle spalle necessità precise e contribuiva alla soluzione di problemi concreti. Anche se non sempre è stato così.  Per restare a quanto cita Ciafani, pensiamo agli acquedotti romani o alle moderne autostrade. Ma – anche passando sopra alle dimensioni del fenomeno –una domanda resta senza risposta: la barbarica aggressione di decine di migliaia di gigantesche pale eoliche può mettere sul piatto della bilancia un’ utilità collettiva tale da giustificare la totale omologazione a senso unico di quasi tutti i crinali della penisola e la loro trasformazione in non-luoghi?  Con un’appendice che viene volutamente trascurata: quali sono i costi, in termini di energia usata, per costruire, trasportare, installare ogni singola pala eolica? Durante quanti anni le pale devono essere mosse dal vento per ammortizzare quei costi?   

CHIAMARE I POMPIERI 

Se la casa sta bruciando –si obietta, sulla scia della piccola Greta –  non c’è più tempo da perdere e qualcosa bisogna pur tentare di fare, anche a scapito di altri importanti valori culturali e convenienze economiche. D’accordo. Ma aggiungerei: “qualcosa di efficace”. L’incendio non si spegne pisciandoci sopra, presi dal panico, ma telefonando ai pompieri.  Il ricorso all’energia dal vento e dal sole in Italia è utile soltanto per quel che concerne il suo valore propositivo e esemplare ( oltre a riempire le tasche di imprenditori non di rado contigui alla malavita organizzata). Il proposito di per sé è tutt’altro che disprezzabile. Però credo sia opportuno ridimensionarne l’efficacia, che sarà sempre marginale, fino a quando Cina e USA resteranno i produttori dei 3/4 delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, pari a quasi 40 miliardi di tonnellate annue. Sarebbe assai più saggio concentrare gli sforzi dell’intera comunità internazionale nella ricerca di strumenti davvero adeguati alla mitigazione dell’effetto serra planetario. Strumenti che non appartengono a orizzonti utopistici ma esistono già in fase sperimentale. Magari meditando contemporaneamente sulla possibilità di costruire modelli di società meno energivore e più sobrie.

LA POSIZIONE DEL MONDO DELLA CULTURA

 In una lettera aperta, che ovviamente i media nazionali si sono ben guardati da far conoscere al pubblico, cinquanta personaggi di primo piano della cultura, della scienza, dell’arte ( tra i quali Settis, Cognetti, Carandini, De Masi), pur dichiarandosi favorevoli alla riconversione ecologica, hanno scritto, tra l’altro: “Appare dunque opportuno e necessario ribadire oggi, prima che sia troppo tardi, che le emergenze architettoniche, le testimonianze archeologiche e storiche, i paesaggi identitari, gli ambienti naturali con fauna e flora protette da norme e direttive comunitarie, gli stessi panorami, vanno tutelati e dovranno continuare ad essere tutelati, anche nei loro valori estetici, senza cedere a provvedimenti maldestri e devastanti, giustificati dall’iper-enfatizzazione dell’emergenza. Certo, l’emergenza è reale, ma non può essere usata come lasciapassare per assolvere a priori qualunque manomissione. Se appare inevitabile giungere a compromessi, è necessario pretendere chiaramente che tali compromessi vengano affrontati e risolti su un reale piano di parità tra le diverse esigenze e non, come sembra stia accadendo, riproponendo lo schema del “Superior stabat lupus”.  

Termino citando una recente frase scritta dal Presidente Sergio Mattarella:Gli insulti al paesaggio e alla natura, oltre a rappresentare un affronto all’intelligenza, sono un attacco alla nostra identità”.

 Non si poteva dire meglio.

Carlo Alberto Pinelli

Responsabile delle energie rinnovabili di Mountain Wilderness Italia

Eolico by Cristiano Firmani

Photo by Cristiano Firmani on Unsplash

 

 

 

 

 

 

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