Italia Nostra

Data: 15 Ottobre 2020

Un’acqua balneabile non è necessariamente un’acqua pulita

Questo è l’incipit dell’intervento di Alessandra Caputi sul sito www.aeropago.net in merito alla spiegazione del perché le acque di balneazione prima di essere definite pulite dovrebbero essere sottoposte a moltissimi controlli. Le chiediamo di approfondire questo argomento con noi.

Dott.ssa Caputi, ci può spiegare cosa si intende per acque di balneazione?

L’espressione “acque di balneazione” si riferisce tanto all’acqua di mare quanto alle acque dolci (correnti o stagnanti) in cui le autorità competenti non abbiano vietato la balneazione. Per valutare la balneabilità dei nostri mari, fiumi e laghi, la legge italiana prevede un programma di monitoraggio annuale di competenza regionale: prima dell’inizio di ogni stagione balneare le ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente) effettuano una serie di campionamenti e analizzano alcuni parametri microbiologici, a cui corrispondono dei valori-limite. In base ai risultati delle analisi, le acque di balneazione vengono classificate come “scarse”, “sufficienti”, “buone” o “eccellenti”. Il superamento dei valori-limite comporta il divieto di balneazione nel tratto di costa interessato dalla presenza di inquinamento.

Fin qui dunque trattiamo dell’applicazione della legge. Ma come siamo giunti alla individuazione di questi parametri normativi? La genesi del corpus di leggi sembra assai complessa.

La direttiva del Consiglio 76/160/CEE individuava 19 parametri da analizzare – chimici, fisici e microbiologici – per valutare la qualità delle acque di balneazione. Vale la pena di elencarli: Coliformi totali, Coliformi fecali, Streptococchi fecali, Salmonelle, Enterovirus, Ph, Azoto Kjeldahl, Colorazione, Trasparenza, Oli minerali, Sostanze tensioattive che reagiscono al blu di metilene, Fenoli, Ossigeno disciolto, Residui bituminosi e materiale galleggiante (plastica, vetro, gomma ecc.), Ammoniaca, Antiparassitari (paration, HCH, diedrina), Metalli pesanti (arsenico, cadmio, cromo VI, piombo, mercurio), Cianuri, Nitrati e fosfati. A ciascun parametro corrispondevano dei valori-soglia di riferimento. Gli Stati membri potevano stabilire valori diversi, purché non fossero meno rigorosi di quelli previsti dalla direttiva.

L’Italia recepì questa direttiva europea?

Sì, il nostro Paese la recepì sei anni dopo, con il D.P.R. 8 giugno 1982 n. 470, ma ridusse i parametri da analizzare da 19 a 11. Gli 8 parametri “scomparsi” erano i seguenti: Azoto Kjeldahl, Residui bituminosi e materiale galleggiante, Ammoniaca, Antiparassitari, Metalli pesanti, Cianuri, Nitrati e fosfati. Non proprio sostanze innocue!

Dopo alcuni decenni i parametri si sono ridotti ancora di più. La direttiva europea del 1976 che aveva fissato i 19 parametri fu abrogata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2006/7/CE. In questa ultima direttiva, tuttora vigente, sono presenti solo 2 parametri di tipo microbiologico, che non corrispondono a nessuno dei vecchi parametri: gli Enterococchi intestinali, infatti, sono un sottogruppo del più ampio gruppo degli Streptococchi fecali (presenti nella direttiva del 1976); gli Escherichia coli sono invece un sottogruppo del più ampio gruppo dei Coliformi fecali (anch’essi presenti nella direttiva del 1976). Si tratta, in entrambi i casi, di batteri la cui presenza indica un inquinamento fecale. Se presenti in acqua oltre determinati valori-soglia, questi batteri possono compromettere nell’immediato la salute dei bagnanti provocando episodi di gastroenterite. La direttiva prevede che in alcuni casi venga ricercata anche la presenza di cianobatteri.

Anche questa seconda direttiva è stata recepita dall’Italia?

Sì, la direttiva del 2006 è stata recepita con il Decreto Legislativo del 30 maggio 2008 n. 116, attuato con il Decreto del Ministero della Salute del 30 marzo 2010. I parametri recepiti, in questo caso, sono gli stessi della direttiva europea: Enterococchi intestinali ed Escherichia coli. Ma valutare la qualità delle acque di balneazione analizzando esclusivamente parametri microbiologici è molto riduttivo: è possibile che un’acqua di balneazione classificata come “buona” o “eccellente” sia inquinata sotto il profilo fisico o chimico.

Può portare qualche esempio?

Nel 2019 l’ISPRA, il CNR e l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” hanno pubblicato i risultati di una ricerca sulle microplastiche nel Mar Tirreno. Si tratta di particelle di dimensioni inferiori a 5 millimetri, che comportano un inquinamento di tipo fisico e chimico. Quest’indagine ha rivelato che nel mare di Ischia, una delle principali mete turistiche della Campania, sono presenti oltre 500 microplastiche per 1000 metri cubi di acqua: un dato peggiore di quello riscontrato alla foce del Po, ma che non incide sulla qualità delle acque di balneazione di Ischia.

Dunque anche pesticidi, scarichi industriali e chimici provenienti da attività antropiche non sono indagati e quindi sostanzialmente non cercandoli, non si evidenziano?

Sì, esatto. La classificazione prevista dalla legge non attesta il reale livello di salubrità (o di avvelenamento) delle nostre acque di balneazione. Dalle analisi effettuate dalle ARPA si possono ricavare solo informazioni su eventuali contaminazioni microbiologiche, mentre non si può ricavare alcuna informazione sulla possibile presenza di inquinanti chimici. Come ha evidenziato il chimico Massimo Colonna, il protocollo analitico per la valutazione della qualità delle acque di balneazione dovrebbe invece prevedere il monitoraggio costante dei livelli di contaminazione chimica.

Quali sono le ragioni che spinsero il legislatore ad eliminare tali sostanze da campionare?

Queste ragioni non sono note. Sappiamo che il settore turistico, di cui il turismo balneare rappresenta una percentuale rilevante, genera il 13% del PIL nazionale. Poiché le fognature, gli scarichi industriali e i pesticidi confluiscono in mare, spesso in assenza di controlli adeguati da parte delle istituzioni, sarebbe difficile non rinvenire nelle acque di balneazione sostanze inquinanti di natura chimica e fisica. Cosa c’è allora di più semplice che smettere tout court di ricercarle?

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