Italia Nostra

Data: 2 Dicembre 2020

Sulla questione del Museo Archeologico a Faenza

L’annosa questione del Museo archeologico, riproposta di recente all’attenzione sulla stampa, impone qualche doverosa riflessione sulla fruibilità del patrimonio archeologico di Faenza. Dall’epoca ormai storica del progetto del Museo a Palazzo Mazzolani, in spazi di proprietà delle Opere Pie, datato alla fine degli anni ‘70 e pubblicato nel 1980, si sono susseguite periodiche proposte non sempre pertinenti, talvolta culturalmente fragili, alternate a lunghe fasi di silenzio. Abbastanza recente anche l’ipotesi di portare il materiale all’interno di un’altra realtà museale anche con l’improponibile ottocentesca esposizione a parete di alcuni mosaici pavimentali, seguita dalla bizzarra idea di sfruttare le cantine di Palazzo Milzetti, poi quella di stendere i mosaici nel cortile del Palazzo degli Studi ricoperto da vetrate, mentre è stata indicata sia pure in modo molto informale l’ipotesi suggestiva delle bellissime cantine dello stesso palazzo potendo così creare la prima sezione di un ipotetico Museo della Città, naturalmente ancora da pensare.

La recente soluzione dell’esposizione a Palazzo Mazzolani, visibile ma non visitabile, dovrebbe costituire una sorta di ingenuo surrogato di quell’esposizione complessiva, quindi di un’adeguata valorizzazione, del patrimonio archeologico cui le recenti amministrazioni hanno evidentemente rinunciato con l’alibi della mancanza di fondi o quantomeno preferendo concentrare energie e sforzi per individuare soluzioni e finanziamenti per altre realtà. Tutto ciò avrebbe giustificato il cosiddetto “prestito” di alcuni mosaici pavimentali più significativi, addirittura uno di straordinaria importanza per la rarità della figurazione, alle raccolte ravennati (San Nicolò e Museo di Classe) dopo una probabile trattativa circa il numero dei mosaici, scelti in base alla capacità attrattiva, mentre aleggia come un fantasma il convincimento che Faenza debba essere sede solo delle iniziative legate alla ceramica, Ravenna del mosaico, liquidando le opinioni diverse come pure rivendicazioni provinciali e campanilistiche, anziché con onestà intellettuale accettare la realtà di una ben diversa posizione culturale.

Nella scelta del prestito, di cui non sono ben chiari i termini di scadenza, è evidente la contrapposizione con l’idea che sta alla base dei musei civici, delle pinacoteche comunali e degli stessi musei della città che hanno il compito in primis di conservare e rendere fruibile la memoria storica e artistica della città. La situazione attuale, quindi, mortifica il patrimonio culturale di Faenza sottraendo una parte indispensabile per una corretta lettura delle vicende storiche del territorio dalla preistoria alla tarda antichità, indicando altresì la tendenza preoccupante a considerare il bene culturale come merce che si può spostare e trasferire anche in luoghi ben diversi dal contesto di appartenenza in nome di un indefinito territorio dai confini di una geografia storica molto nebulosa e in nome di una generica valorizzazione.

Siamo convinti che la città non debba rassegnarsi e debba invece rivendicare con uno scatto d’orgoglio il diritto a riappropriarsi della propria storia allo scopo di una crescita culturale e civile. E poiché la questione fa parte di diritto di quel progetto della città di cui si è sottolineata la necessità ripetutamente, si chiede la costituzione di un gruppo di lavoro allargato costituito da esperti archeologi e museologi, da esponenti della Amministrazione Comunale e delle diverse forze politiche, per valutare il problema e individuare le strategie per la realizzazione di un progetto e di un percorso condiviso ormai non più differibile.

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