Italia Nostra

Data: 10 Febbraio 2012

A cosa serve Michelangelo?

Recensione di Alessia Carta del libro di Tomaso Montanari A cosa serve Michelangelo?” (ediz. Einaudi) che ripercorre la vicenda del crocifisso ligneo “michelangiolesco” acquisito dallo Stato italiano nel 2008

Storici dell’arte, tornate a parlare alla società

Qual è il destino dell’arte nello scenario politico e sociale contemporaneo? Com’è cambiato il rapporto tra l’arte e il potere e quale ruolo rivestono gli storici dell’arte, le università e la stampa nella diffusione della conoscenza della storia dell’arte? Come difendere la scientificità di questa disciplina dalla mistificazione commerciale e dal rischio di falsificazione spesso associato alla nuova funzione da essa ricoperta, il cosiddetto edutainment, che tende a diventare sempre più intrattenimento e sempre meno educazione?

Questi alcuni degli interrogativi proposti da Tomaso Montanari in A cosa serve Michelangelo?, edito da Einaudi, nel quale si ripercorre la vicenda del crocifisso ligneo acquisito nel 2008 dallo Stato italiano per la modica cifra di 3,25 milioni di euro e per il quale era stata formulata una controversa ipotesi di attribuzione al giovane Michelangelo. La transazione, definita dall’autore quantomeno incauta, è stata portata a termine senza che il comitato tecnico-scientifico per i beni storico-artistici del ministero per i beni e le attività culturali o l’allora ministro Sandro Bondi richiedessero formalmente il parere di studiosi autorevoli e terzi rispetto ai proponenti l’acquisto e l’attribuzione stessa. Nonostante l’apertura di un’inchiesta per danno erariale da parte della Corte dei Conti, il crocifisso “michelangiolesco” ritrovato ha intrapreso una tournée celebrativa che ha trascurato ogni cautela sull’incertezza nell’attribuzione e si è mostrata in perfetta linea con le esposizioni itineranti di “capolavori-icona” e con le mostre-spettacolo tanto in voga negli ultimi anni.

Montanari, professore ordinario di storia dell’arte moderna presso l’Università di Napoli Federico II e collaboratore de Il Fatto Quotidiano e del Corriere della Sera nelle edizioni di Firenze e Napoli, non si risparmia un’autocritica sul ruolo degli storici dell’arte, che «un po’ per mancanza di autostima, un po’ per opportunismo, stanno progressivamente rinunciando a parlare alla società» e si stanno rinchiudendo in comunità sempre più specializzate e sempre meno comunicanti tra loro e con il pubblico, quindi meno aperte al confronto critico.

Un difetto comunicativo è attribuito anche alla stampa, che non considera più la storia dell’arte come oggetto di  riflessione intellettuale ma si occupa quasi esclusivamente del sistema dei grandi eventi e delle mostre, limitandosi tuttavia a fornirne una sponsorizzazione più che ad analizzare la validità dei contenuti. Questa una conseguenza, forse, anche delle recenti politiche per i beni culturali, che hanno progressivamente abbandonato il principio della tutela a favore della valorizzazione, che assume però sempre più un’accezione puramente economica invece che di agevolazione della conoscenza e della pubblica godibilità delle opere.

Quello di Montanari si presenta come un invito agli storici dell’arte e alle università a riprendere in mano il loro ruolo e a riportare l’arte al suo status di mezzo di elevazione spirituale e di diffusione della cultura invece di mero strumento di evasione e «anestetico di lusso».

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