Italia Nostra

Data: 27 Novembre 2023

L’altra faccia della medaglia: a cosa serve l’Unesco? 

“Conferenza parallela” alla riunione dei Ministri della Cultura dei 195 stati membri dell’UNESCO

In occasione della riunione a Napoli dei Ministri della Cultura dei 195 stati membri dell’Unesco, dedicata al ‘Patrimonio Culturale nel XXI secolo”, Italia Nostra propone un evento “parallelo” per ragionare sui tanti casi delle città d’arte italiane – Napoli, Roma, Firenze, Venezia, ecc… – emblematici dell’inefficacia, ai fini della concreta tutela del Patrimonio, del riconoscimento Unesco e proporre possibili soluzioni.

Il nostro Paese, proprio perché detiene il primato mondiale di siti Unesco, dovrebbe farsi promotore di una revisione della Convenzione sul Patrimonio Mondiale che renda più efficace la salvaguardia dei siti, minacciati dalle guerre, dai cambiamenti climatici, dal turismo di massa, dalla pressione antropica, dall’inurbamento massiccio della popolazione mondiale, dagli interessi fondiari e dalla cronica mancanza di fondi per il restauro e il recupero dei monumenti. Va ricordato che il riconoscimento del Patrimonio dell’Umanità non ha valore prescrittivo/normativo, in quanto parere solo facoltativo non vincolante. L’Unesco non ha la titolarità della tutela dei beni iscritti nella World Heritage List (WHL), che spetta unicamente agli organi di tutela degli stati membri: per l’Italia si tratta del Ministero della Cultura e, per quanto attiene alla gestione, agli Enti Locali. L’Unesco, però, può esercitare una moral suasion significativa con la sua Lista dei siti in pericolo ma non sempre, per motivi di diplomazia, ottiene i voti necessari per l’iscrizione di un sito nella Danger List (si veda l’esempio di Venezia e la sua Laguna).

Per celebrare il 50esimo anniversario della Convenzione, nel novembre del 2022 Italia Nostra ha promosso un rilevamento tra le sue sezioni sui siti Unesco presenti nei rispettivi territori. Ne è scaturita un’indagine a campione (33 siti con 28 sezioni coinvolte) che ha carattere sia quantitativo che qualitativo e che presenta alcuni dati che possono essere letti in maniera omogenea, fornendo la base per una valutazione delle criticità e delle eventuali soluzioni. Il gruppo di lavoro ha quindi deciso di concentrare l’analisi sulle minacce alla tutela, gli impatti sociali e la ricaduta dei Piani di Gestione di 15 siti che riguardano le città d’arte, anche facenti parte di siti multipli o con significative buffer zone intorno a complessi monumentali inseriti nella WHL, e precisamente: Venezia, Roma, Firenze, Napoli, Genova, Palermo, Verona, Ferrara, San Giminiano, Pienza, Caserta, Modena, Pisa, Vicenza e Val di Noto.

Le minacce più rilevanti per queste città sono l’urbanizzazione, la cementificazione e l’abusivismo che, combinate con l’assenza di pianificazione paesaggistica, fotografa in maniera plastica come gli interessi della rendita fondiaria siano il rischio maggiore per il Patrimonio culturale. In alcune aree del Paese, le speculazioni edilizie e il fenomeno dell’abusivismo continuano ad essere la principale minaccia: si pensi a Tivoli e ai tentativi di realizzare lottizzazioni in prossimità di Villa Adriana o gli abusi ad Agrigento a ridosso della Valle dei Templi. A queste si aggiungono l’occupazione del suolo pubblico con i dehors, le demolizioni e ricostruzioni di edifici anziché il restauro e i cambi di destinazione d’uso degli immobili. Altra minaccia è rappresentata dall’inserimento di impattanti infrastrutture trasportistiche: non solo la Metro C a Roma, ma anche la costruzione del devastante nuovo sistema tranviario di Firenze.

Il riconoscimento Unesco, soprattutto per i luoghi meno conosciuti, appare come una vera e propria azione di promozione/marketing del territorio che, spesso, è ben accolta dalle popolazioni locali nella speranza che il riconoscimento internazionale produca benefici economici. Per i cosiddetti grandi attrattori, per le città d’arte e per le mete turistiche consolidate, il riconoscimento Unesco è, invece, quasi sempre ininfluente e gli impatti sociali inesistenti. Sicuramente negativa è invece la percezione di chi subisce l’overturism, come le città d’arte incluse nei circuiti turistici di massa, croceristici e Low Cost. Emblematico il caso limite di Venezia, dove la pressione turistica ha prodotto lo spopolamento drammatico della città, che nel 1951 contava ancora 174.808 abitanti mentre oggi è scesa sotto i 50.000 ufficiali (ma molto meno se non si considerano le residenze fiscali).

Quasi tutti i siti hanno Piani di Gestione, redatti a cura delle amministrazioni locali e finanziati dall’Unesco, che dovrebbero sovrintendere alla loro conservazione e costituiscono il documento strategico che definisce gli obiettivi e le relative azioni attuative. Se usato correttamente il Piano dovrebbe costituire la regia complessiva ed unitaria di un sistema di interventi, abbracciando la più ampia tipologia: dall’ampliamento delle attività museali e dei servizi nei musei territoriali, alla riqualificazione ambientale di aree degradate nel perimetro del sito stesso e nelle buffer zone, fino a comprendere anche il riordino degli assi viari, il rassetto del traporto pubblico locale, l’integrazione negli strumenti urbanistici di più stringenti tutele e una vincolistica più puntuale, e perfino la governance delle dinamiche dei cambiamenti sociali ed economici.

Non di rado però, la complessità di gestione dei siti, soprattutto se multipli, si rivela una sfida difficile per le amministrazioni locali, che devono imparare a gestire un nuovo sistema di governance basato sulla condivisione tra soggetti pubblici e privati: i Piani di Gestione della Città tardo barocche del Val di Noto, e della Città di Vicenza e le ville palladiane del Veneto ne sono un esempio. In effetti, i piani sono strumenti tecnici che dovrebbero armonizzare le scelte politiche ma la classe politica locale è spesso poco propensa ad accettare limitazioni e tutele. L’altro ostacolo è rappresentato dalla carenza di tecnici adeguatamente formati tra il personale degli Enti Locali, specie se di modesta dimensione.

Occorre pure ben comprendere che i Piani di Gestione non possono surrogare gli obblighi della tutela dello Stato e delle Regioni, dell’interesse paesaggistico e culturale dei siti, e nemmeno sovvertire quelle già esistenti, così come, ad esempio, auspica il Piano di Gestione del sito della Costiera Amalfitana, proponendo l’edificabilità sui terrazzamenti tutelati dal Piano paesaggistico o prestarsi, come nel paradigmatico caso di Roma, a lasciare assurdamente, nel nome dell’Unesco, senza alcuna forma di salvaguardia la città storica

Siti circoscritti a beni monumentali specifici se la cavano meglio, spesso perché gestiti dagli organi periferici del Ministero della Cultura. Finché, però, il riconoscimento Unesco non verrà assorbito nelle disposizioni di tutela del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (L.42/2004) e finché le istituzioni locali e nazionali non assumeranno politiche rigorose e coerenti con i Piani di Gestione – mediante accorte regole di governo del territorio e iniziative concrete che ne garantiscano la salvaguardia e assicurino la permanenza dei residenti nei centri storici – il rischio di perdita del valore culturale rimane sempre elevato.

Dall’analisi emerge la necessità di considerare con maggiore attenzione i rapporti fra i livelli di tutela nazionali (Piani Paesaggistici) e i Piani di Gestione. Riguardo ai Piani Paesaggistici, che risultano presenti nel 70% dei 33 siti esaminati, va notato che solo la presenza del “vincolo paesaggistico” consente di stabilire una reale ed efficace tutela. Pertanto, l’ipotesi di inserire un vincolo paesaggistico ex lege per i siti Unesco potrebbe essere la soluzione.

Ci sembra evidente, inoltre, che vada rafforzata la compartecipazione dei cittadini e delle comunità locali nei processi decisionali con l’assunzione sempre maggiore di consapevolezza e responsabilità, anche in attuazione della Convenzione europea di Faro.

Italia Nostra

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