Su quell’alto e lungo cumulo di sassi, una pila di scarti di cava collocati a ridosso della superstrada, s’era acceso il faro degli ambientalisti e dei difensori del paesaggio. Allo svincolo di Piedimulera della statale 33, in territorio del comune di Vogogna, era stato autorizzato il deposito temporaneo di inerti della società Agifin che, alla fine del 2017, era stato oggetto d’un esposto di “Italia Nostra”. Destinato a ministero dei Beni culturali, Arpa, carabinieri forestali, Asl, Regione, Provincia e Comune, segnalava anomalie edilizie, urbanistiche e ambientali.
Da quelle segnalazioni sono scaturiti gli accertamenti dei carabinieri forestali che hanno portato a indagare, e a trarre a giudizio, tre persone. S’è aperto in settimana al Tribunale di Verbania il processo a carico di Pierina Barboglio, socia e amministratrice della società Agifin, titolare dell’autorizzazione; di suo nipote Dario Marchetti, procuratore legale e amministratore della stessa; e del geometra Fausto Dotta, progettista incaricato di quella pratica e, all’epoca dei fatti, anche assessore a Vogogna nella giunta di Enrico Borghi.
La Procura contesta a tutti e tre la violazione delle norme urbanistico-edilizie per aver, nella Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) del 4 luglio 2017, attestato che il progetto fosse conforme alle norme urbanistiche quando non lo era. L’accusa ritiene che, non solo il deposito temporaneo non fosse possibile su aree agricole, ma anche che per quel terreno, di classe geologica IIIa, servisse quantomeno una relazione idrogeologica.
Un altro capo d’imputazione riguarda la violazione delle norme edilizie. L’accumulo di sassi, infatti, alto 11,30 metri (più, si stima, 3 scavati sotto il piano di campagna) e vicino 5,5 alla superstrada, violava i progetti secondo cui poteva raggiungere i 10 metri d’altezza (senza scavo) e doveva essere distante 10 metri dall’arteria internazionale.
Ai soli Barboglio e Marchetti, inoltre, sono contestati altri due capi di imputazione per violazioni delle norme sui rifiuti: perché, tra le pietre, i carabinieri riscontrarono la presenza di scarti di ferro e acciaio equiparati a rifiuti speciali in un deposito non autorizzato come discarica; e per inquinamento da emissioni in atmosfera.